https://www.voltairenet.org/article216797.html

Il Canada e i banderisti

di Thierry Meyssan

Nei precedenti articoli Thierry Meyssan ha mostrato in che modo i banderisti, collaboratori dei peggiori soprusi dei nazisti in Ucraina e Polonia, sono arrivati al potere a Kiev, nella giovane nazione indipendente. Ora Meyssan mostra come, in ottant’anni, immigrati banderisti si sono affermati nel Partito Liberale canadese, al punto che oggi occupano la seconda carica del governo di Justin Trudeau.

Rete Voltaire| Parigi (Francia) |10 maggio 2022

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Il primo ministro canadese Justin Trudeau è andato in parlamento per presentare il discorso dell’omologo ucraino, Volodymyr Zelensky.
Dei 39 milioni di cittadini canadesi, 1,4 milioni sarebbero di origine ucraina e rappresenterebbero il 3-4% degli elettori. Questa comunità è molto inquadrata dalle organizzazioni banderiste che vi inculcano la propria ideologia razzista.

Questo articolo è il seguito di:
 1. «La Russia vuole costringere gli USA a rispettare la Carta delle Nazioni Unite», 4 gennaio 2022.
 2. «In Kazakistan Washington porta avanti il piano della RAND, poi toccherà alla Transnistria», 11 gennaio 2022.
 3. «Washington rifiuta di ascoltare Russia e Cina», 18 gennaio 2022.
 4. «Washington e Londra colpite da sordità», 1° febbraio 2022.
 5. “Washington e Londra tentano di preservare il dominio sull’Europa”, 8 febbraio 2022.
 6. “Due interpretazioni della vicenda ucraina”, 15 febbraio 2022.
 7. “Washington suona la tromba di guerra, ma gli alleati desistono”, 23 febbraio 2022.
 8. “È agli Straussiani che la Russia ha dichiarato guerra”, 7 marzo 2022.
 9. «Una banda di drogati e neonazisti», 7 marzo 2022.
 10. “Israele sbalordito dai neonazisti ucraini”, 8 marzo 2022.
 11. «Ucraina: la grande manipolazione», 22 marzo 2022.
 12. «Con il pretesto della guerra si prepara il Nuovo Ordine Mondiale», 29 marzo 2022
 13. «La propaganda di guerra cambia forma», 5 aprile 2022.
 14. «L’alleanza di CIA, MI6 e banderisti», 12 aprile 2022.
 15. «La fine del dominio occidentale», 19 aprile 2022.
 16. «Ucraina: la seconda guerra mondiale non è finita», 26 aprile 2022.
 17. «Con la guerra in Ucraina Washington spera di riaffermare la propria superpotenza», 3 maggio 2022.

I primi combattenti stranieri arrivati in Ucraina a febbraio 2022 erano canadesi. Il primo ufficiale straniero arrestato il 3 maggio dalle forze russe è un generale canadese. Evidentemente il Canada, nonostante disti oltre seimila chilometri dall’Ucraina, è segretamente implicato nel conflitto.

In questo articolo mostrerò come tutti i governi liberali canadesi abbiano sostenuto i banderisti sin dall’inizio della seconda guerra mondiale, quando, giocando su due tavoli, hanno combattuto i nazisti e sostenuto i banderisti. La situazione oggi è addirittura peggiorata: il governo canadese presieduto dal liberale Justin Trudeau è affiancato da una vice-primoministro banderista, Chrystia Freeland.

Le connessioni tra CIA e nazisti, proprie della guerra fredda, sono state rivelate solo nel 1975, con le Commissioni del Congresso Pike, Church e Rockefeller, e terminate solo con il presidente Jimmy Carter. Invece il sodalizio del Partito Liberale canadese con i banderisti continua tuttora. Il Canada è l’unico Paese al mondo, oltre l’Ucraina, ad avere una ministra banderista, che per di più è il numero due del governo.

Il primo ministro canadese William King al termine del colloquio a Berlino con il cancelliere Adolf Hitler il 29 giugno 1937.

Nel 1940, quando in guerra c’era il Regno Unito, ma non gli Stati Uniti, il governo liberale canadese di William King creò l’Ukrainian Canadian Congress (UCC) per sostenere gli immigrati antibolscevichi contro i filosovietici (Association of United Ukrainian Canadians – AUCC) e gli ebrei (Canadian Jewish Congress – CJC). Furono vietate biblioteche filosovietiche e sinagoghe.

Il Partito Liberale del regno canadese non è stato creato per promuovere l’individualismo contro le idee conservatrici, ma contro l’idea repubblicana [1].

Durante la seconda guerra mondiale il primo ministro canadese William King, in patria molto apprezzato, in Europa fu fischiato dai soldati canadesi che stava passando in rassegna. Il Partito Liberale ha sempre assunto posizioni antirusse, presentandole fino al 1991 come antisovietiche, e ha costantemente interpretato il cristianesimo in contrapposizione al giudaismo.

Alla fine della seconda guerra mondiale il Canada fu così il principale rifugio dei banderisti (35 mila immigrati) e dei nazisti baltici. Fra loro Volodymyr Kubijovyč e Michael Chomiak, il cui vero nome era Mykhailo Khomiak, editori del più importante giornale nazista dell’Europa centrale, Krakivs’ki Visti.

Michael Chomiak con dignitari nazisti.

Chomiak, che lavorava sotto il diretto controllo del ministro della Propaganda nazista, Joseph Goebbels, non rinnegò mai il proprio passato collaborazionista. Anzi, ha sempre militato per l’OUN(B). E con questo spirito ha educato la nipote, Chrystia Freeland, attuale vice-primoministro del Canada. Lungi dal condannare i crimini banderisti, Freeland ha iniziato la carriera di giornalista a 18 anni lavorando per l’Encyclopedia of Ukraine di Kubijovyč (oggi consultabile in Internet). Poi per The Ukrainian News, il giornale dei banderisti canadesi, infine per The Ukrainian Weekly, giornale dei banderisti statunitensi collegati all’ABN e alla CIA. Freeland era in Unione Sovietica nel periodo precedente il crollo. Le autorità sovietiche interpellarono il governo canadese sul suo sostegno ai banderisti e le vietarono di ritornare in URSS. Ciononostante, dopo la dissoluzione dell’URSS, Freeland assunse la direzione della sede del Financial Times di Mosca. In seguito fu vicecaporedattrice del Globe and Mail, nonché caporedattrice del Thomson Reuters Digital.

Nei suoi articoli e nei suoi libri, Vendita del secolo: la cavalcata selvaggia della Russia dal comunismo al capitalismo [2] e Plutocrati: l’ascesa dei nuovi super-ricchi mondiali e la caduta di tutti gli altri [3], Freeland sviluppa due tesi già care al nonno:
– Critica degli ultraricchi, scegliendo a esempi quasi esclusivamente ebrei.
– Denuncia a ogni piè sospinto prima dell’URSS, poi della Russia.

Non bisogna dimenticare che il fascismo fu la risposta alla crisi economica del ’29 attraverso un’alleanza nazionalista di classe per corporazioni. Nazisti e banderisti vi aggiunsero una feroce portata razzista. Prendendo di mira gli ultraricchi, Freeland affronta giustamente il principale problema contemporaneo. Oggi solo la finanza arricchisce, al contrario la produzione è in crisi. Tuttavia Freeland scivola pericolosamente verso un’interpretazione razzista, riscontrando che, fra i superricchi, gli ebrei rappresentano una percentuale superiore rispetto a quella rappresentata nella popolazione in generale, lasciando così intendere che si tratta di una correlazione significativa.

Nel 1991 il deputato liberale di origini polacco-ucraine Boris Wrzesnewskyj si adoperò affinché il Canada fosse il primo Paese al mondo a riconoscere l’indipendenza dell’Ucraina. Grazie al patrimonio di famiglia (le panetterie Future Bakery) creò un servizio per far arrivare a ogni membro del parlamento notizie sull’Ucraina. Finanziò l’archiviazione da parte di Volodymyr Kubijovyč e Michaek Chomiak di documenti della seconda guerra mondiale sui nazionalisti ucraini. Ne uscì l’Encyclopedia of Ukraine, un’opera non scientifica, bensì una riabilitazione dei banderisti e una falsificazione storica. Grazie agli agganci della famiglia, Wrzesnewskyj introdusse in Canada il futuro presidente ucraino Viktor Yushchenko.

Nel 1994 il primo ministro liberale Jean Chrétien negoziò il Trattato di amicizia e collaborazione con l’Ucraina, di cui chiese fin dal 1996 l’adesione alla Nato.

A gennaio 2004 il Canada, all’epoca guidato dal primo ministro liberale Paul Martin, partecipò alla preparazione da parte di Washington della Rivoluzione Arancione. L’ambasciatore canadese a Kiev, Andrew Robinson, organizzò incontri con i colleghi di 28 Paesi per portare al potere Viktor Yushchenko. Lo scopo era azzerare la politica del presidente Kuchma, che aveva optato per il gas russo invece di favorire le ricerche statunitensi di petrolio nel Mar Caspio [4].

Robinson finanziò il sondaggio del Centro ucraino di Studi Economici e Politici Oleksandr Razumkov, secondo cui le elezioni presidenziali erano state truccate; elargì inoltre 30 mila dollari all’associazione Pora! (È l’ora!) dello stratega della Nato, Gene Sharp [5].

Basandosi unicamente sul sondaggio Razumkov, Pora! organizzò manifestazioni popolari: il voto fu annullato e furono indette nuove elezioni. Il Canada spese tre milioni di dollari per inviare 500 osservatori. Il secondo voto portò al potere Yushchenko, che formò la propria squadra scegliendo Vladislav Kaskiv (dipendente di Soros e leader di Pora!) come consigliere speciale e Anatoli Gritsenko (militare formatosi negli Stati Uniti e presidente del Centro Razumkov) come ministro della Difesa.

Il deputato liberale canadese Wrzesnewskyj fu particolarmente attivo nella Rivoluzione Arancione; la sorella Ruslana era molto vicina alla moglie di Yushchenko, Katerina Chumachenko. Investì 250 mila dollari canadesi per sostenere il movimento e utilizzò il suo appartamento in centro a Kiev per coordinare le manifestazioni nell’intervallo tra i due scrutini. I manifestanti di Pora! scandivano «Ca-na-da!» e brandivano la bandiera con la foglia d’acero.

Chrystia Freeland iniziò la carriera politica nel 2013 nel Partito Liberale. Fu eletta deputata di Toronto. Nel 2014 sostenne la Rivoluzione della Dignità a Kiev (ossia il colpo di Stato banderista), di cui incontrò i principali protagonisti. Denunciò l’indipendenza della Crimea e incontrò Mustafa Dzhemilev, celebre spia degli Stati Uniti, nonché leader dei tatari. Alla fine il presidente Vladimir Putin le vietò l’ingresso in Russia.

Il primo ministro liberale Justin Trudeau nel 2015 nominò Freeland ministra per il Commercio Estero; nel 2017 la nominò ministra degli Esteri e nel 2017 ministra degli Affari Intergovernativi, nonché vice-primoministro. Dal 2020 Freeland è ministra delle Finanze.

John Baird porta al leader del partito neonazista Svoboda la solidarietà del Canada.

Nel 2014 il ministro conservatore degli Esteri canadese, John Baird, incontrò in piazza Maidan i principali leader della contestazione. La televisione canadese ritenne che il ministro avesse così offerto un’argomentazione a sostegno della tesi del presidente Putin, ossia che la rivoluzione fosse una manipolazione occidentale.

La portavoce dell’ambasciata canadese, Inna Tsarkova, era un responsabile del movimento AutoMaïdan. L’ambasciata, vicina a Piazza Maïdan, offrì rifugio ai protestatari, che vi rimasero accampati nella hall per una settimana. Il gruppo neonazista C14 [6] vi si rifugiò il 18 febbraio, durante il massacro.

Quando il 17 luglio 2014 il volo Malaysia Airlines 17 fu abbattuto sopra l’Ucraina, l’Organizzazione dell’Aviazione Civile Internazionale (OACI), con sede a Montreal, inviò sul luogo del disastro quattro ispettori. Ancor prima dell’avvio dell’inchiesta, Freeland diede inizio a una campagna internazionale di denuncia della Russia e approfittò della veste di ministro per buttare quanto più possibile benzina sul fuoco.

Dopo il rovesciamento di Viktor Yanukovich e l’irruzione al potere dei banderisti, il Canada architettò l’operazione UNIFIER (Canadian Armed Forces Joint Task Force-Ukraine) per istruire i militari ucraini e rafforzare la polizia militare ucraina. L’operazione, diretta da Londra e Washington, implicò l’invio in Ucraina di 200 istruttori e di materiale non-letale. È terminata il 13 febbraio 2022, appena prima dell’operazione russa, giusto in tempo per non mettere il Canada in stato di belligeranza.

In otto anni il Canada ha speso circa 900 milioni di dollari in aiuti all’Ucraina.

Da sinistra a destra: l’ambasciatore ucraino in Canada, Andriy Schevchenko; il primo ministro canadese Justin Trudeau; il deputato ucraino-canadese Boris Wrzesnewskyj. In primo piano la mitica spia della CIA durante la guerra fredda, nonché leader dei tatari anti-russi, Mustafa Dzhemilev (giugno 2016).

Nel 2016 il primo ministro liberale Justin Trudeau ricevette con tutti gli onori Mustafa Dzhemilev, incontrato in precedenza anche dalla vice-primoministro Freeland. Ad agosto 2015 Dzhemilev divenne emiro di una Brigata Mussulmana Internazionale, cofinanziata da Ucraina e Turchia per riprendersi la Crimea [7].

Chrystia Freeland e Stepan Kubiv firmano l’Accordo di Libero Scambio Canada-Ucraina, alla presenza del primo ministro Justin Trudeau e del presidente Petro Poroshenko.

Nello stesso periodo Freeland negozia l’accordo di Libero Scambio Canada-Ucraina.

Chrystia Freeland manifesta con i banderisti dell’OUN(B) contro l’aggressione russa all’Ucraina. Lo striscione rosso e nero, i colori dei banderisti, riporta il loro slogan «Gloria all’Ucraina!».

Quando nel 2017 il sito Russia Insider rivelò il passato criminale del nonno di Freeland e i legami della stessa con i banderisti, lei negò i fatti e denunciò la «propaganda» russa. Tuttavia il 27 febbraio scorso si è esibita insieme a un gruppo di banderisti dell’OUN(B) durante una manifestazione contro l’aggressione russa. La foto, da lei stessa postata, è stata rapidamente rimossa dal suo account Twitter.

Il primo ministro canadese Justin Trudeau, il presidente dei banderisti ucraini del Canada Paul Grod e Chrystia Freeland.

Reagendo in sintonia con i partner della Nato all’operazione militare russa, il Canada ha modificato il bilancio e stanziato 500 milioni di dollari di aiuti alle forze armate ucraine, banderisti compresi. Ha già inviato mitragliatrici, pistole, carabine, 1,5 milioni di pallottole, fucili per tiratori scelti ed equipaggiamenti connessi (14 febbraio), visori notturni, caschi e giubbotti antiproiettile (27 febbraio), 100 cannoni senza rinculo Carl Gustav M2, 2.000 munizioni da 84 mm (28 febbraio), 390.000 razioni individuali da campo e circa 1.600 giubbotti paraschegge (1° marzo), 4.500 lanciarazzi M72 e 7.500 granate a mano, nonché un abbonamento a immagini satellitari commerciali per un milione di dollari (3 marzo), videocamere per droni di sorveglianza (9 marzo), obici M777 e relative munizioni, come pure munizioni supplementari per l’arma anti-blindati Carl Gustav M2 (22 aprile), otto veicoli blindati di modello commerciale e un contratto di servizio per la manutenzione e la riparazione di videocamere specializzate trasportate via drone (26 aprile). Inoltre ha iniziato ad addestrare i soldati ucraini all’uso degli obici M777.

Il 2 marzo Justin Trudeau, che ha fede negli Stati Uniti, ha fatto firmare a una ventina di Paesi una dichiarazione per denunciare la disinformazione russa [8], ossia impedire la diffusione d’informazioni sui banderisti ucraini e canadesi.

Il 10 marzo il Canada è riuscito a far firmare a una trentina di Paesi una seconda dichiarazione, molto orwelliana, per compiacersi della censura occidentale, in nome della libertà di stampa, di Russia Today e dell’agenzia Sputnik, organi di stampa pubblici.

Da quando i banderisti hanno fatto irruzione al potere a Kiev, il Canada ha sanzionato oltre 900 personalità e società russe o dell’opposizione ucraina. Ha incluso nella lista persone vicine al presidente russo, nonché membri delle loro famiglie.

Nonostante le dichiarazioni di principio a favore dell’uguaglianza di ognuno davanti alla legge, il Canada sostiene senza riserve i banderisti, araldi della superiorità razziale degli ucraini sui russi.

Thierry Meyssan

Traduzione
Rachele Marmetti

www.resistenze.org – popoli resistenti – germania – 18-04-24 – n. 897

25 anni di bombe NATO sulla Jugoslavia: l’imperialismo tedesco ha le mani sporche di sangue!
KO – Organizzazione Comunista (Germania) | kommunistische.org
Traduzione a cura di Giaime Ugliano

24/03/2024

Comunicato della Direzione Centrale della Kommunistische Organisation (KO, Germania)


Bombardamento di Belgrado da parte della NATO. Fonte: Autore sconosciuto – https://plus.cobiss.net/cobiss/sr/sr/bib/272918535, AGPL, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=120160230

Il bombardamento della Repubblica Federale di Jugoslavia da parte della NATO è iniziato 25 anni fa, il 24 marzo 1999. Fu la prima missione di combattimento della Bundeswehr tedesca dalla sua fondazione e il primo coinvolgimento attivo della Germania in una guerra dal 1945. Non era nemmeno coperta da un mandato delle Nazioni Unite: gli attacchi aerei sul territorio jugoslavo, durati fino al 10 giugno 1999, erano quindi ufficialmente illegali secondo il diritto internazionale. Il risultato: numerosi morti, molti dei quali civili, un numero imprecisato di feriti, alcuni dei quali gravi, nonché infrastrutture e industrie distrutte, non da ultimo impianti chimici danneggiati che rappresentano una grave minaccia per l’ambiente e la salute, pericoli a lungo termine dovuti alle bombe a grappolo inesplose e traumi per i sopravvissuti [1].

La menzogna delle bombe umanitarie

Gli strateghi della NATO hanno usato la presunta minaccia di una catastrofe umanitaria in Kosovo come giustificazione per accettare i crimini di guerra e i danni a lungo termine causati dai bombardamenti. Il fatto è che le prove addotte a sostegno di questa tesi (come la cosiddetta Operazione Ferro di Cavallo per l’espulsione sistematica degli albanesi del Kosovo) sono state successivamente smascherate come menzogne [2]. Ma il governo federale “di sinistra” dell’epoca, una coalizione di SPD e Verdi, ha alimentato la giustificazione morale fino a legittimare la guerra di aggressione. Non temeva di piegare la propria storia di imperialismo tedesco, i presunti obblighi derivanti dalla Seconda Guerra Mondiale e dall’Olocausto, in modo che il bombardamento di un mese sui civili serbi potesse essere giustificato con “Nie Wieder Auschwitz” (Mai più Auschwitz), come dichiarato dal vice-cancelliere Fischer. Negli anni precedenti, il governo serbo-jugoslavo era già stato ripetutamente equiparato al fascismo tedesco.

Alcuni schemi sono evidenti nella retorica di guerra: ovunque l’imperialismo tedesco identifichi un nemico, il paragone con il fascismo è sempre a portata di mano. Che si tratti dell’equiparazione popolare di Putin a Hitler nella guerra imperialista in Ucraina o del sostegno alla guerra di Israele a Gaza con lo slogan “Nie wieder ist jetzt” (Mai più è ora), come se il movimento di liberazione palestinese potesse in qualche modo essere paragonato ai crimini del fascismo tedesco.

La richiesta formulata dopo il 1945, secondo cui “la Germania non deve mai più iniziare una guerra”, non solo è stata definitivamente sepolta dalla pioggia di bombe del 1999, ma si è trasformata nel suo opposto, cosicché l’imperialismo tedesco ha iniziato a legittimare nuove guerre con le sue stesse vecchie colpe. Da allora, la guerra condotta sotto la bandiera dell’umanità si è dimostrata più volte utile per gli imperialisti di tutto il mondo. Gli interventi della NATO in Afghanistan, Libia, Siria, ecc. ne sono un esempio particolarmente triste, ma anche la leadership russa ha lanciato il suo attacco omicida all’Ucraina per proteggere la popolazione del Donbass.

Guerrafondai per gli interessi del capitale tedesco

Di fatto, però, il governo tedesco e i suoi alleati della NATO non si preoccupavano dei diritti umani in Kosovo nel 1999, né della stabilità o addirittura della pace. La disintegrazione della Jugoslavia era specificamente nell’interesse del capitale tedesco e i suoi rappresentanti politici vi hanno contribuito attivamente, come già dimostrato dal loro rapido e ampiamente criticato riconoscimento della secessione della Slovenia e della Croazia all’inizio degli anni Novanta. Il bombardamento del 1999 è stato il culmine sanguinoso dell’interferenza imperialista tedesca, che ha promosso la secessione del Kosovo e, in ultima analisi, la disintegrazione finale della Jugoslavia. Contrariamente a tutti i proclami di autodeterminazione e di pace, oggi il Kosovo è un’importante base della NATO e non se ne vede la fine: il contingente di soldati tedeschi sarà nuovamente aumentato nell’aprile di quest’anno.

Gli Stati emersi dalla Jugoslavia erano sufficientemente indeboliti da garantire l’accesso ai mercati, alle materie prime e alla manodopera tedesca e di altri capitalisti. L’espansione verso est dell’UE ha integrato alcuni Paesi balcanici nella zona di libero scambio tanto utile al capitale tedesco. Oggi vediamo che la Germania è uno dei più importanti partner commerciali dei Balcani occidentali, addirittura il più importante per la Serbia [3]. Le aziende tedesche aumentano i loro profitti sfruttando i lavoratori per una frazione dei salari tedeschi e in alcuni casi sono sovvenzionate dai governi nazionali [4]. La presa dell’imperialismo tedesco sull’Europa sudorientale non è una novità: i piani della Germania per la “cooperazione” economica con i Paesi dei Balcani risalgono al XIX secolo e la sottomissione militare della regione è stata una parte importante dell’espansione imperialista tedesca nelle due guerre mondiali.

Il capitalismo significa guerra

Nel 1990 la RFT annette la RDT e nove anni dopo la Germania è di nuovo in guerra. La fine del socialismo in una parte della Germania ha aperto all’imperialismo tedesco l’opportunità di risorgere. Per due volte la ricerca dell’egemonia da parte del capitale tedesco si è conclusa con una guerra mondiale e, in ultima analisi, con la sua stessa sconfitta. Ma con la fine del socialismo in Europa, la strada era libera per i capitalisti tedeschi per riconquistare il pieno accesso ai mercati dell’Europa orientale. La fine della comunità di Stati socialisti ha reso possibile imporre questo accesso con la forza, se necessario. L’attacco del 1999 ci ricorda che i capitalisti sono disposti a usare qualsiasi mezzo necessario per portare avanti i loro interessi e che il capitale tedesco – nonostante tutta la retorica sull’umanità e sui diritti umani – non fa eccezione.

La stessa sanguinosa disintegrazione della Jugoslavia non può essere spiegata senza la rinascita del capitalismo nelle repubbliche che la compongono. Sebbene il periodo della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia sotto Tito e dopo sia stato tutt’altro che privo di contraddizioni, le cause della sua sconfitta sono da ricercare in ultima analisi nei suoi stessi sviluppi indesiderati: le guerre devastanti degli anni ’90 sono state il risultato degli interessi del capitale. Sono state il terreno di coltura di aspirazioni nazionaliste e separatiste.

Tutte le forze politiche che sostengono il capitalismo finiscono sempre per sostenere la guerra, a prescindere da quanto progressiste, umanitarie o popolari si dichiarino. Il fatto che sia stato il governo federale presumibilmente “di sinistra” della SPD e dei Verdi a scatenare la prima guerra tedesca dal 1945 la dice lunga. Entrambi i partiti sono rimasti fedeli ai loro guerrafondai: dall’invasione dell’Afghanistan nel 2001 al coinvolgimento della Germania nella guerra in Ucraina, accompagnato da armamenti e militarizzazioni massicce. Entrambi i partiti hanno parlato di genocidio quando si è trattato di legittimare l’attacco alla Jugoslavia nel 1999, entrambi negano il genocidio perpetrato dagli occupanti in Palestina sotto i nostri occhi oggi. La lezione del 1999 e di tutte le guerre imperialiste deve essere:

– Nessuna fiducia in nessun partito del capitale! Solo un Partito Comunista può diventare una voce coerente contro le guerre del capitale – costruiamolo!

– Nessun sostegno alle guerre degli imperialisti! Nessun pretesto morale è troppo vuoto per giustificare i loro bombardamenti, anche se ciò significa distorcere la loro stessa responsabilità storica. Qualunque siano le scuse, a loro non interessa la gente nelle zone di guerra, ma solo i loro profitti. Questo era vero per la Jugoslavia. Vale per l’Ucraina, dove Russia e NATO stanno radendo al suolo il Paese in una battaglia per l’influenza. E vale per la Palestina, dove Israele, con il sostegno tedesco, sta conducendo una guerra di annientamento contro Gaza.

– Chiamiamo per nome e combattiamo i guerrafondai di questo Paese! Nel 1999, la RFT ha iniziato a fare guerra apertamente e da allora non si è mai fermata. Per fermare tutto questo e prevenire futuri spargimenti di sangue, abbiamo bisogno di un movimento operaio forte e consapevole. Deve voltare le spalle ai guerrafondai tedeschi e rimuovere il terreno di coltura della guerra – in altre parole, esautorare i capitalisti. Qui e in ogni paese che oggi è sotto il loro dominio.

Note:

[1] https://www.jutta-ditfurth.de/allgemein/Ditfurth-Gruene-Krieg-20060326.pdf

[2] Si veda ad esempio il documentario ARD “Deutschlands Weg in den Kosovo-Krieg – Es begann mit einer Lüge” [“Tutto è iniziato con una bugia: il percorso della Germania verso la guerra del Kosovo”], online https://www.youtube.com/watch?v=ZtkQYRlXMNU

[3] Ad esempio, per quanto riguarda le importazioni: https://de.statista.com/statistik/daten/studie/796545/umfrage/wichtigste-importlaender-fuer-serbien/

[4] Ad esempio, in Serbia attraverso sussidi agli investimenti cfr. https://www.dw.com/de/serbien-wird-für-deutsche-unternehmen-noch-attraktiver/a-67149836


25 anni fa: come i rossoverdi hanno imparato ad amare le bombe

Matthias Rude | * | kommunistische.org
Traduzione a cura di Giaime Ugliano

24/03/2024


Kasa Fue / Wikipedia. CC BY-SA 4.0

Dopo la fine della RDT, la guerra può nuovamente scoppiare dal suolo tedesco. L’attacco della NATO alla Jugoslavia è iniziato 25 anni fa, con la partecipazione della Bundeswehr. La rimilitarizzazione della politica estera tedesca è stata portata avanti da un governo rosso-verde.

Quando la “cortina di ferro” fu sollevata, non fu solo la tragedia del declino storico dell’esperienza socialista a poter essere osservata sulla scena politica mondiale. Anche in Germania alcuni esponenti della sinistra compirono un “dietrofront” e, per avere accesso ai centri di potere, si unirono al coro di quei guerrafondai che avevano imparato a mascherare come “interventi umanitari” l’applicazione dei loro interessi nella lotta per la ridivisione del mondo. Da allora, le guerre imperialiste ci sono state ripetutamente vendute come “antifasciste” [1]. La missione di combattimento della Bundeswehr in Kosovo, nel 1999, è stata promossa da ex-sinistrorsi e sessantottini che avevano raggiunto i vertici nel corso della loro “marcia attraverso le istituzioni”. Gerhard Schröder dichiarò una volta: “Sì, sono un marxista” – il futuro Cancelliere federale è stato presidente dei Giovani Socialisti fino al 1980. Joschka Fischer è stato membro del gruppo di sinistra radicale “Revolutionärer Kampf” fino al 1975. Il coinvolgimento della Germania nella guerra del Kosovo è quindi anche una lezione sull’integrazione delle forze di opposizione nelle normali operazioni capitalistiche.

I corridoi del potere

La prima frase del libro di Joschka Fischer Gli anni rosso-verdi (2007) recita: “Eravamo finalmente arrivati” [2]. Dopo le elezioni del Bundestag nel settembre 1998, era ministro degli Esteri e vice cancelliere: il carrierista aveva lavorato per anni a questo obiettivo. Nel 1995 aveva scritto una lettera aperta al suo partito, Alleanza 90/Verdi, in cui bollava il sistema politico serbo come “nuovo fascismo” e si schierava a favore dell’intervento militare [3] – il documento fu percepito come una “lettera di candidatura alla carica di ministro degli Esteri” [4]. Nel 1998, il momento era arrivato: l'”establishment della politica estera” statunitense non aveva obiezioni a un ministro degli Esteri tedesco verde – dopo tutto, i Verdi erano già stati ripetutamente inclusi nei “programmi educativi e di visita” del governo statunitense [5]. All’inizio di ottobre, il New York Times scrisse che Fischer aveva padroneggiato il percorso “dalle lotte rivoluzionarie della sinistra di Francoforte negli anni Settanta ai corridoi del potere a Washington” e lo elogiò per essersi ostinatamente opposto all’ala del suo partito che si sentiva ancora legata alle sue radici pacifiste. Il continuo disprezzo di Fischer per i legami è “bilanciato da un crescente rispetto per la NATO”; egli sarebbe certamente “ricettivo ai compromessi” per quanto riguarda la partecipazione della RFT a una missione militare in Kosovo. L’unica domanda che rimaneva era: “Riuscirà a convincere i Verdi?” [6]

Per consegnare il suo partito agli imperialisti, Fischer tirò fuori le armi ideologiche pesanti. Diffamò gli oppositori della guerra come “imbianchini di un nuovo fascismo” [7]. “Le bombe sono necessarie per fermare le SS serbe”, disse [8]. Aveva imparato: mai più guerra, ma aveva anche imparato: mai più Auschwitz. “Che si tratti di Saddam o di Slobodan, Adolf Hitler è sempre dove l’Occidente bombarda”, ha osservato cinicamente un commentatore [9]. Così ora Slobodan Milošević, presidente della Repubblica jugoslava di Serbia, era il nuovo Hitler, che avrebbe commesso un genocidio sistematico contro gli albanesi del Kosovo. Il 27 marzo 1999, il ministro della Difesa Rudolf Scharping (SPD) parlò di un “numero incalcolabile di morti”. Gli osservatori dell’OSCE, che indagano su ogni incidente, avevano registrato 39 morti nella guerra civile per il mese di marzo di quell’anno – prima che le prime bombe della NATO cadessero il 24 marzo. “Non siamo in guerra, ma siamo chiamati a imporre una soluzione pacifica in Kosovo con mezzi militari”, ha spiegato Schröder l’operazione speciale della NATO ai telespettatori tedeschi. Anche nelle prime ondate di attacchi, i Tornado tedeschi hanno abbattuto le difese aeree jugoslave con missili a guida radar, e non sempre hanno colpito obiettivi militari. Il numero totale di vittime dei bombardamenti è stimato in 3.500 [10].

Un nuovo tipo di menzogna su Auschwitz

È ormai noto che le legittimazioni avanzate per i bombardamenti consistevano in menzogne e manipolazioni volte a influenzare l’opinione pubblica verso la guerra e a legittimare i bombardamenti – ad esempio, sono stati inventati “campi di concentramento” e un “piano a ferro di cavallo”, un presunto piano per l’espulsione sistematica degli albanesi dal Kosovo [11]. Il 23 aprile 1999, alcuni sopravvissuti all’Olocausto, tra cui Esther Bejarano, pubblicarono una lettera aperta a Fischer e Scharping intitolata “Contro un nuovo tipo di menzogna su Auschwitz”: invocare Auschwitz come giustificazione per la guerra era “infame” [12]. Il 13 maggio, a Bielefeld, si tenne una conferenza speciale dei Verdi sulla guerra del Kosovo: si trattava della prima conferenza dei Verdi durante la guerra, e la prima sotto una massiccia protezione della polizia. Alle 10.40 Fischer fu colpito all’orecchio destro con un sacchetto colorato. Alle 12.05 ha pronunciato il suo discorso, tra le urla e il rumore dei fischietti. “Bodenkrieg in Bielefeld” (Battaglia campale a Bielefeld) titolava il giorno dopo il giornale taz del Partito dei Verdi [13].

Ma questo non era nulla in confronto alla guerra che infuriava in Jugoslavia. Invece di prevenire una “catastrofe umanitaria”, come si era detto, le bombe hanno provocato una catastrofe: la NATO ha effettuato 38.000 missioni aeree nei 78 giorni di guerra e ha sganciato 9160 tonnellate di bombe, molte delle quali su fabbriche chimiche, rilasciando fosgene e diossine; mercurio, zinco, cadmio e piombo hanno contaminato le riserve di acqua potabile. E un totale di dieci tonnellate di uranio impoverito cadde sulla Jugoslavia: “Un intervento umanitario ‘radioso’, cancerogeno e inquinante. Non una parola di critica da parte dei Verdi”, Jutta Ditfurth, che nel 1991 aveva lasciato i Verdi insieme a parte dell’ala sinistra, ha preso di mira i suoi ex compagni di partito [14] – all’epoca ancora nella Junge Welt; ora è una di quelle che chiedono “solidarietà con Israele” in linea con le ragioni di Stato tedesche e la stampa Springer [15].

Il vaso di Pandora

Nella guerra del Kosovo, la Bundeswehr è stata schierata fuori dal territorio della NATO per scopi offensivi. Si è trattato di una violazione della Carta delle Nazioni Unite e del Trattato NATO, della Legge fondamentale della Repubblica Federale Tedesca e del Trattato “Due più Quattro” del 1990, che stabilisce che la Germania unita “non userà mai nessuna delle sue armi” se non in conformità con la Carta delle Nazioni Unite [16]. Secondo l’accordo di coalizione rosso-verde, anche il dispiegamento della Bundeswehr dovrebbe essere vincolato al rispetto del diritto internazionale. Il governo rosso-verde ha quindi infranto anche il proprio accordo di coalizione, il cui capitolo sulla politica estera era stato introdotto con la frase: “La politica estera tedesca è una politica di pace” [17].

Inoltre, la NATO ha aperto il “vaso di Pandora” [18] nel 1999, creando un precedente a cui ora anche la Russia può fare riferimento nella sua politica imperialista sull’Ucraina, sia in termini di riconoscimento delle “repubbliche popolari” separatiste di Donetsk e Luhansk – dopo tutto, l’Occidente ha forzato la secessione del Kosovo dalla Jugoslavia anche contro la volontà del governo di Belgrado – sia in termini di argomentazione che era necessaria per combattere i fascisti e prevenire il genocidio. Ha fornito a Putin i “progetti per l’Ucraina” [19]. Non è quindi senza una certa ironia che nel febbraio 2022, quando la Russia ha riconosciuto Donetsk e Luhansk e ha annunciato che avrebbe inviato truppe nell’Ucraina orientale come presunta “missione di pace”, il ministro degli Esteri verde Annalena Baerbock, tra tutti, che si considera “sulle spalle di Joschka Fischer” [20], si è lamentata di questa “palese violazione del diritto internazionale” [21].

La rottura della diga

Baerbock riesce persino a visitare il Kosovo e la Serbia e ad annunciare a Belgrado: “Mentre noi abbiamo scelto insieme la strada della ricostruzione, il Presidente Putin ha scatenato una campagna di distruzione senza precedenti” [22]. Senza precedenti, dunque? Sembra che le sia sfuggito anche il fatto che il “percorso di ricostruzione” nei Balcani occidentali è stato preceduto da una pioggia di bombe della NATO – due pesi e due misure, a dir poco. Schröder è più onesto: l’annessione della Crimea alla Russia è stata effettivamente una violazione del diritto internazionale – “ma sapete perché sono un po’ più attento con l’indice alzato? È quello che sto per dirvi. Perché l’ho fatto io stesso, ho violato il diritto internazionale”, ha ammesso nel 2014 [23].

La guerra del Kosovo è stata una rottura della diga e, come nota lo storico Edgar Wolfrum nel suo libro del 2013 “Rot-Grün an der Macht” (“Rosso-verdi al potere”) , “una cesura per tutto ciò che è seguito, Afghanistan e poco dopo Iraq. Qualcosa di simile sarebbe stato molto più difficile per un governo guidato dalla CDU” [24]. Sotto i rosso-verdi, la Germania “riunificata” passò alle normali operazioni imperialiste – e questo significa guerra. Naturalmente, i responsabili non sono mai stati perseguiti per aver violato la legge: sono stati riccamente ricompensati dalla classe capitalista per i loro servizi. Dopo aver lasciato la politica, Fischer, ad esempio, ha ottenuto contratti di consulenza e di lobby con RWE, Siemens e BMW. Già nel 2011, il quotidiano Handelsblatt aveva osservato che l’ex-occupante abusivo era “forte negli affari” [25]. Gli eventi del 1999 e in particolare lo sviluppo del Partito dei Verdi – un tempo braccio parlamentare del movimento pacifista, oggi rappresentante permanente dell’industria della difesa nel Bundestag [26] – dimostrano non da ultimo l’impossibilità di cambiare radicalmente il sistema attraverso la via parlamentare: la “marcia attraverso le istituzioni” finisce proprio lì, nelle istituzioni.

Note:

*) Contributo di Matthias Rude

[1] Matthias Rude: “Mai più fascismo” – guerra ancora e ancora. Una tragedia borghese in tre atti, in: Susann Witt-Stahl, Michael Sommer: “Antifa vuol dire attacco aereo!” – Regressione di un movimento rivoluzionario, Amburgo 2014, 101-119, 101.

[2] Joschka Fischer: Gli anni rosso-verdi. La politica estera tedesca – dal Kosovo all’11 settembre, Köln 2007, 15.

[3] https://taz.de/!1498563/

[4] https://taz.de/!1496558/

[5] https://taz.de/Joschka-Fischer-stehen-bei-uns-alle-Tueren-offen/!1321500/

[6] https://www.nytimes.com/1998/10/09/world/german-green-evolves-from-revolutionary-to-pragmatist.html

[7] Joschka Fischer: Gli anni rosso-verdi (Nota 2), 197

[8] https://taz.de/!5189446/?goMobile2=1578700800052

[9] https://taz.de/!1290171/

[10] https://web.archive.org/web/20130208062035/http://www.tanjug.rs/novosti/46252/pre-13-godina-potpisan-kumanovski-sporazum.htm

[11] Si veda, ad esempio, il documentario ARD Iniziò con una bugia: il percorso della Germania verso la guerra del Kosovo, online ad esempio su https://www.youtube.com/watch?v=ZtkQYRlXMNU

[12] https://nrw-archiv.vvn-bda.de/bilder/doku_neue_auschwitz-luege.pdf

[13] https://taz.de/Bodenkrieg-in-Bielefeld/!1289088/

[14] https://www.jungewelt.de/artikel/122558.neue-kriegspartei.html

[15] https://www.jutta-ditfurth.de/allgemein/Reden.htm

[16] Memorandum sulla pace 2000 (estratti), pubblicato dal Bundesausschuss Friedensratschlag, Kassel 2000, in: Christiane Lammers, Lutz Schrader (eds.): Nuova politica estera e di sicurezza tedesca? Un bilancio della politica della pace a due anni dal cambio di governo rosso-verde, Baden-Baden 2001,26-41, 32

[17] http://www.grüne-lage.de/download/koalition/XI.htm#xi

[18] https://www.german-foreign-policy.com/news/detail/8850

[19] https://www.heise.de/tp/features/Blaupausen-fuer-die-Ukraine-6527247.html

[20] Quando Baerbock ha parlato al “Forum sul futuro dell’UE e degli Stati Uniti” del Consiglio Atlantico nel maggio 2021, ha raccontato aneddoti su come suo nonno, che era un ufficiale della Wehrmacht, aveva combattuto contro i russi sull’Oder nell’inverno del 1945, prima di dire che “non stiamo solo sulle spalle di Joschka Fischer, ma anche su quelle dei nostri nonni” (https://www.atlanticcouncil.org/news/transcripts/annalena-baerbock-on-a-transatlantic-green-deal-and-german-strategies-in-facing-russia-and-china)

[21] https://www.sueddeutsche.de/politik/ukraine-putin-baerbock-1.5533964

[22] https://www.sueddeutsche.de/politik/kosovo-serbien-annalena-baerbock-russland-ukraine-1.5546247

[23]  https://www.deutschlandfunk.de/krim-krise-vergleich-mit-kosovo-unzulaessig-100.html

[24] Edgar Wolfrum: Rot-Grün an der Macht. Germania 1998-2005, München 2013, 24

[25] https://amp2.handelsblatt.com/unternehmen/management/joschka-fischer-dick-im-geschaeft/3914876.html

[26] Matthias Rude: I Verdi. Da partito di protesta a attore di guerra, Berlin 2023, 7

https://www.resistenze.org/sito/te/po/ge/pogeob13-026942.htm
KO – Organizzazione Comunista (Germania) | kommunistische.org
Traduzione a cura di Giaime Ugliano

09/02/2024

Dichiarazione della Direzione Centrale KO – Organizzazione Comunista (Germania)



All’inizio di gennaio, il media outlet investigativo Correctiv [1] ha riferito di un incontro segreto di vari politici di destra nei pressi di Potsdam. La riunione comprendeva membri dell’AfD, come Gerrit Huy, membro del Bundestag, e Roland Hartwig, consigliere della portavoce federale dell’AfD Alice Weidel, membri della “Unione dei valori” (associazione ultraconservatrice interna a CDU e CSU, ndt) e della CDU, attivisti del “Movimento Identitario” (IB) fascista e altri fascisti. Si sono riuniti per discutere di deportazioni di massa, o in gergo fascista: “remigrazione”, un “piano generale” per la deportazione di massa di persone con un background migratorio, presentato da Martin Sellner, icona reazionaria dell’IB. Inoltre, sono state raccolte donazioni per l’IB e altri fascisti, e il deputato dell’AfD al Parlamento della Sassonia-Anhalt, Ulrich Siegmund, ha sollecitato milioni di donazioni per la sua campagna elettorale.

In risposta allo scoop, ancora oggi si stanno svolgendo numerosi raduni e manifestazioni, con centinaia di migliaia di persone che partecipano in tutta la Germania: nelle grandi città come Berlino, Amburgo e Stoccarda, ma anche in diverse cittadine più piccole come Torgau, vicino a Lipsia, in Sassonia, e Perleberg, nel Brandeburgo. Anche i rappresentanti della coalizione di governo partecipano in luoghi importanti, presentandosi come democratici e antirazzisti, come ad esempio il ministro della Difesa della SPD Boris Pistorius a Osnabrück o il cancelliere federale Olaf Scholz e il ministro degli Esteri dei Verdi Annalena Baerbock a Potsdam. Tuttavia, non è solo la punta di diamante politica del capitale a intervenire, anche i monopoli tedeschi si sono espressi: Hartung, capo della Bosch, ha dichiarato di condannare le posizioni che emarginano parti della popolazione, l’amministratore delegato della SAP ha definito lo sviluppo “pericoloso”, Hanebeck, capo della Infineon, ha condannato i piani di “remigrazione” come “disumani” e l’amministratore delegato dell’aeroporto di Düsseldorf li ha descritti come “veleno per la Germania come sede di affari” [2].

Le lavoratrici e i lavoratori non devono lasciarsi ingannare da queste dichiarazioni: il capitale e i suoi agenti politici sono e rimarranno i loro nemici.

In generale, accogliamo con favore il fatto che molte persone scendano in piazza contro il razzismo e l’AfD, compresi molti dei nostri colleghi di lavoro dalle fabbriche. Il fatto che un partito con un programma così apertamente razzista, sciovinista e antioperaio guadagni continuamente membri, celebri regolarmente nuovi successi elettorali e sia anche molto quotato nelle previsioni per le prossime elezioni di quest’anno è in effetti un motivo sufficiente per manifestare. Molti scendono in piazza con un’immagine di sé antifascista – che è anche appropriata nei confronti di un partito che sta sempre più adottando un tono apertamente fascista. Ma è un problema se il fascismo viene visto solo come una macchinazione di persone cattive e non come una forma di governo capitalista – come conseguenza dello stesso sistema e delle stesse politiche che la CDU, la FDP, la SPD, i Verdi e, in ultima analisi, anche il Partito della Sinistra e Wagenknecht rappresentano. Solo così si può spiegare perché i rappresentanti del governo sono stati invitati come oratori, hanno partecipato alle manifestazioni e sono stati persino applauditi. È assurdo, perché è proprio questo governo “a semaforo” che sta portando avanti lo sviluppo della destra in Germania. L’esempio più recente è la “legge sul miglioramento dei rimpatri”, approvata a gennaio con la maggioranza dell’SPD, che renderà più severe le deportazioni, in linea con il cancelliere dell’SPD Scholz, che ha annunciato deportazioni “su larga scala” nell’ottobre 2023. Concretamente, la legge prevede, ad esempio, che le deportazioni possano essere effettuate senza preavviso (solo le famiglie con bambini di età inferiore ai 12 anni saranno avvertite in anticipo), che non ci sarà alcun effetto sospensivo in caso di obiezione o ricorso contro un divieto di ingresso o di soggiorno e che i rifugiati in alloggi condivisi riceveranno meno denaro in futuro. La carta di pagamento adottata dagli Stati federali alla fine di gennaio, che è destinata ad annullare i pagamenti in contanti, è sulla stessa linea e mira a dissuadere i rifugiati dal venire in Germania, come giustamente critica l’organizzazione Pro Asyl [3].

I partiti borghesi non sono estintori, ma acceleratori per il fuoco

Il presunto antirazzismo dei partiti del “semaforo” difficilmente può essere superato in quanto a ipocrisia. Negli ultimi mesi c’è stata la più dura repressione contro il movimento di solidarietà con la Palestina: alcune organizzazioni sono state messe fuori legge, le manifestazioni sono state attaccate dalla polizia, centinaia di persone sono state arrestate, ci sono state numerose perquisizioni domiciliari e processi, e a gennaio i dimostranti pro-Palestina sono stati quasi picchiati a morte dalla polizia durante la manifestazione Luxemburg-Liebknecht-Lenin a Berlino. La repressione è diretta anche contro l’attività politica dei migranti in Germania, contro le loro organizzazioni indipendenti e contro le istituzioni culturali. Molte delle persone colpite volevano partecipare alle ampie manifestazioni contro il razzismo delle ultime settimane. In diverse città, sono stati nuovamente attaccati e criminalizzati, sia dalla polizia che, in alcuni casi, anche dai partecipanti alla manifestazione, che apparentemente intendono “antirazzismo” soprattutto come approvazione delle politiche del governo.

Il disgustoso culmine della mendacia è questo: mentre SPD, Verdi e FDP agitano lo spettro di un nuovo “Terzo Reich”, sono sempre loro a sostenere con tutte le forze un vero e proprio genocidio a Gaza, qui e ora. Stanno fornendo a Israele le armi per realizzare questo genocidio – uno Stato razzista di apartheid con un governo di estrema destra che rappresenta già esattamente ciò che i fascisti dell’AfD vorrebbero attuare in questo Paese. Il “semaforo” non è l’antitesi del fascismo, ma solo l’altra faccia della stessa medaglia della destra.

Perché tutte le controversie politiche stanno arrivando al pettine ora?

Non è un caso che l’intero spettro borghese si stia spostando a destra, che le idee e gli argomenti dei populisti di destra e le forze fasciste stiano guadagnando influenza. Tutti questi processi sono interconnessi e si rafforzano a vicenda. Il contesto è l’intensificarsi degli antagonismi tra i blocchi di Stati capitalisti a livello internazionale: la battaglia per le quote di mercato e l’influenza politica tra questi blocchi sta diventando sempre più feroce. L’ascesa della Cina capitalista, in particolare, e la strategia “America first” degli Stati Uniti stanno riducendo i profitti delle aziende tedesche. Le sanzioni contro la Russia rendono costosa l’energia e riducono le quote di mercato.

La lotta per mantenere i profitti del capitale tedesco deve quindi inevitabilmente portare a un’intensificazione della lotta tra i gruppi di capitale e a un rafforzamento della lotta per le condizioni di vita e di lavoro della classe operaia. L’intensificarsi della concorrenza a livello internazionale fa sì che la “società di tutti contro tutti” (letteralmente in tedesco “società dei gomiti”, ordine sociale che si basa sull’egoismo, sulla competizione, sulla spietatezza e sull’interesse personale – sullo “sgomitare” individuale, ndt) diventi più evidente anche qui in Germania, cioè che sia apparentemente più facile farsi da parte piuttosto che organizzarsi insieme come classe operaia e difendersi in modo solidale contro gli attacchi al nostro standard di vita. Questo è il terreno fertile in cui razzismo e fascismo possono crescere e prosperare.

Che ruolo hanno l’AfD e gli altri partiti borghesi?

L’intensificarsi della lotta per i profitti ha portato alla disintegrazione dei partiti politici in Germania e alla contemporanea riorganizzazione di AfD, Unione dei valori e BSW (il nuovo partito di Sahra Wagenknecht, ndt), ad esempio. L’ascesa di questi nuovi attori si spiega da un lato con la lotta per la linea politica nella competizione globale del capitale: con o contro gli USA, con chi nell’UE, con la Cina o contro la Cina?

D’altra parte, la socialdemocrazia tradizionale ha sempre meno successo nell’integrare la classe operaia. Il nuovo partito di Sahra Wagenknecht rappresenta quindi, tra le altre cose, un tentativo di reintegrare i settori insoddisfatti della classe operaia nel sistema capitalistico e di incanalare il loro malcontento in canali innocui. Attraverso i suoi attacchi ai sindacati e alle altre organizzazioni della classe operaia, l’AfD svolge anche un ruolo importante nella stabilizzazione del capitalismo. Inoltre, raccogliendo attorno a sé persone insoddisfatte e alimentando il razzismo, divide la popolazione e la classe operaia, indirizzando il legittimo potenziale di protesta in una direzione innocua e profondamente reazionaria per il capitale.

Per intensificare lo sfruttamento della classe operaia, è importante che il capitale rafforzi la divisione ideologica della classe operaia. Il dibattito sull’immigrazione e quello sulle sanzioni per il reddito di cittadinanza sono un’espressione di questo attacco ideologico generale. In questo caso, AfD, CDU, SPD e Verdi si passano la palla a vicenda. Ad esempio, la SPD e i Verdi possono contemporaneamente inasprire la deportazione dei rifugiati o decidere un regime di sanzioni di otto mesi contro i beneficiari del reddito di cittadinanza, per poi affermare nelle manifestazioni del giorno successivo che “siamo tutti uniti”.

I partiti cosiddetti democratici sono i maggiori responsabili dell’ascesa dell’AfD. Sono quelli le cui politiche rappresentano gli interessi del capitale contro le ampie masse del popolo, con l’inevitabile risultato che, prima o poi, fasce crescenti della popolazione diventeranno sempre più insoddisfatte e i disorientati saranno spinti in massa tra le braccia dell’AfD. L’orientamento e la pratica politica del Partito della Sinistra di partecipare ai governi statali e di cercare di fare lo stesso a livello federale ha anche contribuito a far sì che l’AfD possa presentarsi oggi come l’unica opposizione, dal momento che questa partecipazione al governo significa in realtà attuare le stesse politiche reazionarie contro le quali dicono di combattere. Naturalmente, un governo guidato dall’AfD o con la sua partecipazione sarà anche un governo del capitale e sarà accompagnato da attacchi brutali alla classe operaia e alle sue organizzazioni.

Perché l’AfD può raggiungere parti della classe operaia?

Dall’Agenda 2010 (serie di riforme del welfare e del mondo del lavoro promosse nei primi anni 2000 dal governo SPD e Verdi, ndt), c’è un’alta percentuale di lavoratori precari – con contratti a tempo determinato, con lavoro interinale o in aziende senza sindacati e senza comitati aziendali forti. La percentuale di simpatizzanti dell’AfD è particolarmente alta tra questi lavoratori, sebbene le politiche effettive dell’AfD siano esplicitamente dirette contro i loro interessi. L’AfD ha successo in regioni dove la mancanza di prospettive è elevata, le opportunità per i giovani sono scarse e dove stanno scomparendo infrastrutture importanti per le famiglie e i bambini, le piccole imprese e i commercianti. Le politiche antioperaie dei governi borghesi sono il terreno di coltura del fascismo.

In che modo dobbiamo combattere?

Dobbiamo rafforzare i settori della classe operaia che oggi scendono in piazza per una sincera indignazione nei confronti del razzismo. Tuttavia, la lotta contro la politica di divisione non deve fermarsi all’AfD, ma deve essere diretta anche contro le politiche razziste e antioperaie del governo e di tutti i partiti borghesi. Dobbiamo intensificare i dibattiti e dimostrare che sono le politiche del governo ad alimentare l’ascesa dell’AfD.

Ampie fasce della classe operaia sono giustamente deluse dai partiti di governo o dalla cosiddetta opposizione di sinistra: molti sono pronti a votare per l’AfD. Dobbiamo riuscire ad articolare i nostri reali interessi comuni come lavoratori e a indicare le vie d’uscita dalla nostra percepita impotenza.

L’AfD sostiene la riduzione delle tasse per i ricchi, vuole limitare le misure di sostegno statale e si oppone attivamente all’organizzazione sindacale. Il modo migliore per smascherare le politiche antioperaie dell’AfD, dei partiti di governo e dell’opposizione borghese è quello di condurre lotte politiche e sindacali reali. Per avere successo, possiamo e dobbiamo sviluppare la solidarietà di classe nelle vertenze concrete all’interno dei sindacati e nei luoghi di lavoro, nelle scuole, nelle università e nei quartieri. In questo modo, dimostriamo nella pratica quanto sia importante la solidarietà e quanto sia dannosa la divisione propagandata dalla destra. Ciononostante, è anche chiaro che ci troviamo di fronte a forze borghesi sotto forma di socialdemocrazia, soprattutto nelle lotte sindacali. Ancora una volta vediamo la necessità di una forza che unisca i settori più consapevoli della classe operaia, il Partito Comunista: costruirla è il compito principale del nostro tempo e dell’Organizzazione Comunista, perché solo così potremo contrastare efficacemente sia l’agitazione di destra e la minaccia fascista sia l’appropriazione socialdemocratica delle lotte.

Contro la divisione razzista e la minaccia fascista!
Contro tutti i partiti borghesi e la loro appropriazione delle proteste!
Per un movimento operaio militante e per il Partito Comunista!

Note:

[1] https://correctiv.org/aktuelles/neue-rechte/2024/01/10/geheimplan-remigration-vertreibung-afd-rechtsextreme-november-treffen/

[2] https://www.deutschlandfunk.de/wirtschaft-wendet-sich-gegen-afd-100.html

[3] https://www.proasyl.de/news/bezahlkarte-ohne-standards-laender-vereinbaren-diskriminierungskonzept/

FOIBE E GIORNO RICORDO: SCOTTI, “CRIMINI FASCISTI TACIUTI O DIMENTICATI. E LA SINISTRA NON PARLA”

di Roberto Santilli

10 Febbraio 2024 09:35

ItaliaCronaca

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FOIBE E GIORNO RICORDO: SCOTTI, “CRIMINI FASCISTI TACIUTI O DIMENTICATI. E LA SINISTRA NON PARLA”

L’AQUILA – “Molti di coloro che negli ultimi vent’anni hanno organizzato raduni e conferenze sul tema Foibe ed Esodo giuliano-dalmata, tacendo i crimini fascisti, hanno di fatto taciuto i crimini dei loro padri e dei loro nonni, militi delle milizie fasciste e addirittura al fianco dei nazisti dopo l’8 settembre 1943. I loro crimini sono stati dimenticati”.

A novantasei anni, Giacomo Scotti – scrittore, giornalista e traduttore italiano – prende carta e penna. E scrive, facendo riflettere e pure arrabbiare, come fa chi non ha ceduto all’uso di una tecnologia ormai quasi totalmente padrona della società in cui viviamo, anche dei Massacri delle Foibe e dell’Esodo giuliano-dalmata.

Vicende strette sovente nella morsa della sola ideologia e non della pura e semplice ricostruzione storica e che sono non di rado foriere di accesi scontri soprattutto in ambito politico – pure in Abruzzo – essendo argomenti di una battaglia che, quando disputata, si svolge quasi sempre sul nervo scoperto tra destre e sinistre per quanto accadde in una orribile porzione del secolo scorso, in una zona d’Europa lastricata di cadaveri e di tremendi drammi assortiti causati da quella immane catastrofe che fu la Seconda Guerra mondiale.

Compresi quelle sul fronte orientale delle nostre parti – basti pensare a ciò che accadde prima e dopo l’8 settembre 1943 – tra ferite forse mai del tutto rimarginate ed in un mare di semplificazioni e mistificazioni di stampo mass-mediatico e politico e cerimonie come il Giorno del Ricordo, che viene celebrato ogni anno il 10 febbraio pure nella nostra regione, con in sottofondo quella costante motivazione che fa riferimento al tempo, al “troppo tempo” in cui Foibe ed Esodo giuliano-dalmata sarebbero stati “nascosti” alla narrazione nazionale dalle forze di sinistra e comuniste.

“Per cominciare – è il pensiero ad AbruzzoWeb.it di Giacomo Scotti, un passato da giovane fervente antifascista e comunista, che da quasi quarant’anni vive e lavora dividendosi tra Italia e Croazia e che prende applausi e premi per le sue opere, ma anche accuse di ‘negazionismo’ perché non considera pulizia etnica quella riferita alle Foibe – di questi argomenti si è scritto su giornali, volumetti e ‘volumoni’ fin dai primi mesi del Dopoguerra. Si è parlato e si parla anche dei dalmati, ma si dimentica che Zara, unica città italiana in Dalmazia da prima della guerra, fu sgomberata per ordine di Roma già nel corso del conflitto. Fu il governo di De Gasperi, poi, ad organizzare l’esodo degli italiani da Pola nell’immediato dopoguerra, inviando navi da trasporto. I rimasti, per lo più ex partigiani, furono dichiarati traditori titoisti. Dopo venti anni dopo l’istituzione del Giorno del Ricordo, aumentano le cifre degli infoibati. Si cominciò con 800 per arrivare a 10mila”.

“Nel numero degli infoibati, del resto – continua Scotti, autore, tra gli altri, di importanti libri come ‘I massacri di luglio. La storia censurata dei crimini fascisti in Jugoslavia’ e ‘Il fascio e la svastica. Storia e crimini del movimento Ustascia’, entrambi pubblicati dalla casa editrice Red Star – vengono inseriti pure gli squadristi della Rsi caduti negli ultimi scontri con le truppe partigiane. Tra i caduti del maggio 1945 e gli infoibati definiti vittime innocenti e martiri troviamo segretari del Fascio, come Giuseppe Cossetto, dirigenti del Guf istriano, come sua figlia Norma Cossetto (alla cui memoria sono state dedicate libri, opere d’arte, vie tra cui una anche all’Aquila, eccetera), squadristi sciarpa littorio, podestà, legionari, volontari della guerra d’Africa e comandanti delle squadre d’azione; tra i martiri del Comunismo titino troviamo Mario Nardini, caduto a Trieste, capitano della Milizia Difesa Territoriale al servizio dei nazisti, già membro dell’XI legione della Milizia Fascista Speciale, Michele Polonio Balbi, caduto il 3 maggio 1945 a Fiume, sottocapo manipolo del 3° reggimento della Milizia Difesa Territoriale, Vincenzo Sorrentino, prefetto di Zara, membro del Tribunale Speciale che condannava a morte con facilità girando per la Dalmazia. E si potrebbe continuare. A tutti, ancor prima del Giorno del Ricordo, sono state conferite medaglie post mortem”.

“Da quando viene celebrato il Giorno del Ricordo – aggiunge il 96enne originario di Saviano, in Campania – non viene mai rispettato il terzo articolo della legge, dopo le foibe e l’esodo e cioè quello delle ‘più complesse vicende del confine orientale’, fra le quali vi sono le stragi compiute dal Fascismo italiano durante l’occupazione di gran parte della Slovenia (annessa all’Italia quale provincia di Lubiana), di gran parte della Croazia (con l’intera Dalmazia) e del Montenegro. Inoltre, nel Giorno del Ricordo, che poi comincia prima del 10 febbraio e si prolunga per mesi ogni anno, si tacciono i crimini di guerra commessi dal regime fascista, le stragi compiute durante l’occupazione e l’oppressione subita dalle popolazioni slave dell’Istria, di Fiume e del Quarnaro dalla fine della Prima Guerra Mondiale, e cioè dall’annessione all’Italia fascista di quella regione. L’autrice triestina dell’opuscolo ‘Le foibe tra storia e mito’, Claudia Cernigoi, ricorda a tal proposito le repressioni subite dalla popolazione fascista nel ventennio mussoliniano: su 978 processi condotti in Italia dal Tribunale speciale fascista tra il 1927 e il 1943, ben 131 furono condotti contro 544 imputati croati e sloveni dell’Istria”.

“Su un totale di 4.596 condanne – prosegue quindi Scotti – 476 furono comminate a sloveni e croati. Su 27.722 anni di carcere, 4.893 furono inflitti a queste due comunità. Contro sloveni, croati, istro-quarnerini e giuliani furono comminate 33 condanne a morte su un totale di 42 nel resto dell’Italia. Ancora prima dell’inizio della lotta armata, negli anni 1930-1942 i plotoni d’esecuzione fascisti fucilarono 19 sloveni. Durante l’occupazione dell’ex Jugoslavia, in seguito all’attacco da questa subita il 6 aprile 1941 senza dichiarazione di guerra, e precisamente nel periodo di 29 mesi (fino al settembre 1943), furono commessi crimini innumerevoli. Fu un’occupazione di estrema durezza che portò alla morte circa 450mila jugoslavi. I documenti delle Forze Armate italiane recitano ‘Il trattamento da fare ai partigiani non deve essere sintetizzato dalla formula dente per dente bensì da quella ‘testa per dente’ e ancora, ‘Si sappia bene che eccessi di reazione non verranno mai perseguiti’. Seguirono repressioni, massacri, fucilazioni, deportazioni di migliaia e migliaia di civili tra vecchi, donne e bambini nei campi di Arbe, Gonars, Cairo Montenotte e in altre località dell’Italia, dove la mortalità fu altissima per fame, malattie, maltrattamenti”.

“Di questi crimini – sottolinea poi lo scrittore, giornalista e traduttore – in Italia non si parla. Degli 800 criminali di guerra italiani denunciati dall’ex Jugoslavia, nessuno è stato processato e condannato in Italia. E dei loro crimini non si parla. Nel Giorno del Ricordo ascoltiamo una narrazione a senso unico di stampo antistorico, revisionista, nazionalista, spesso marcatamente neofascista. Le stragi del Fascismo nell’ex Jugoslavia e tutti i tristi eventi sfuggono alla memoria di chi, nel Giorno del Ricordo, urla calpestando la dimensione storica. Purtroppo, se si eccettuano gli associati dell’Anpi, l’Associazione dei partigiani, la sinistra tace. Ai giovani va detta la verità, tutti dovrebbero battersi per la verità. Agli italiani bisogna far conoscere tutte le facce della tragedia provocata dal Fascismo nella ex Jugoslavia, far conoscere quegli eventi nella loro vera dimensione. Bisogna affrontare la tematica con vigore storico e profondità. Come spesso ha scritto e detto la friulana Alessandra Kersevan, ricercatrice di Resistenza, storica e autrice di alcuni volumi su questa materia”.

“Molti di coloro che negli ultimi venti anni hanno organizzato raduni e conferenze sul tema Foibe ed Esodo, tacendo i crimini fascisti, tacevano di fatto i crimini dei loro padri e nonni, militi delle milizie fasciste e addirittura al fianco dei nazisti dopo l’8 settembre 1943. I loro crimini sono stati dimenticati. Il Giorno del Ricordo spesso, purtroppo, serve a moltiplicare l’erezione di cippi e la dedica dei giardini, vie e piazze a criminali fascisti, in memoria degli ‘scomparsi’ negli scontri con i reparti partigiani”, conclude Scotti.

Dichiarazione congiunta dell’Azione Comunista Europea nel centenario della morte di Vladimir Ilich Lenin


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Dichiarazione congiunta dell’Azione Comunista Europea nel centenario della morte di Vladimir Ilich Lenin
Azione comunista europea (ECA) | eurcomact.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

20/01/2024



Oggi, alla vigilia del centenario della morte di Vladimir Ilich Lenin (21 gennaio 1924), noi, Partiti Comunisti e Operai che partecipano all’ACE, ci rivolgiamo alla grandiosa figura di questo geniale pensatore e rivoluzionario.

Il suo contributo alla causa della classe operaia e degli altri strati popolari, alla lotta per l’abolizione dello sfruttamento e alla costruzione della società socialista-comunista è enorme.

Non sorprende che Lenin sia costantemente bersaglio della propaganda borghese.

Analizzando lo stato della struttura sociale all’inizio del XXI secolo e comprendendo la gravità dell’attuale momento politico:

– Sottolineiamo la grandezza dell’impresa umana di V. I. Lenin come leader della vittoriosa Grande Rivoluzione Socialista d’Ottobre, che ha segnato una nuova tappa nella storia dell’umanità, rovesciando la società sfruttatrice in Russia e ispirando le masse popolari di molti Paesi del mondo alla lotta rivoluzionaria; creatore del primo Stato al mondo della dittatura del proletariato, al servizio dei bisogni dei molti, degli sfruttati e degli oppressi, del potere dei lavoratori, della socializzazione dei mezzi di produzione, della pianificazione centrale, che ha portato in un arco di tempo storicamente brevissimo, a conquiste senza precedenti nella vita socio-economica. Pertanto, la superiorità del socialismo rispetto al capitalismo è stata dimostrata salvaguardando il diritto al lavoro, fornendo una vita sicura e dignitosa ai lavoratori, raggiungendo un alto livello di istruzione e garantendo l’accesso alla ricchezza della cultura mondiale. Il socialismo ha introdotto un nuovo tipo di relazioni umane basate non sulla subordinazione e sulla competizione, ma sulla cooperazione e sull’assistenza reciproca nel processo di trasformazione creativa comune della realtà. L’URSS è stata il sostegno dei popoli nella lotta per il socialismo e la pace.

– Siamo convinti che la vasta eredità teorica di Lenin e le sue lezioni di pratica politica e di costruzione del partito siano un ulteriore sviluppo della teoria marxista, abbiano un valore duraturo e costituiscano la base per l’educazione ideologica e politica e per le attività di ogni nuova generazione di rivoluzionari in tutto il mondo.

– Rimaniamo impegnati nella metodologia dell’analisi materialista-dialettica della società contemporanea, sviluppata da Lenin in continuità con la metodologia marxista; nell’identificazione del più alto stadio di sviluppo del capitalismo – l’imperialismo, con le sue caratteristiche fondamentali – quale vigilia della rivoluzione socialista, enunciata in primis nell’opera Imperialismo, fase suprema del capitalismo. La storia ha dimostrato la correttezza delle conclusioni scientifiche di Lenin. Nonostante gli specifici cambiamenti che l’imperialismo ha attraversato dopo la stesura di quest’opera, non ha cambiato la sua natura di sfruttamento: continua a essere un capitalismo monopolistico, il capitalismo nella sua epoca più reazionaria, che si regge sulla legge dell’estrazione del massimo profitto basato sull’aumento dello sfruttamento del lavoro salariato; il divario tra ricchi e poveri è in crescita (oggi il 50% della popolazione mondiale riceve in media l’8% del reddito mondiale, mentre il 10% più ricco ottiene il 52%, secondo il World Inequality Report – 2022); continua a sfruttare spietatamente le risorse naturali della terra; genera regolarmente guerre piccole e grandi (49 solo dall’inizio del XXI secolo) che causano enormi problemi ai popoli del mondo.

– Siamo guidati dall’insegnamento di Lenin sulla costruzione del partito: solo un partito di tipo nuovo e d’avanguardia è in grado di rispondere alle esigenze della lotta di classe, di guidare le masse proletarie, di assicurare l’inizio della rivoluzione socialista e di sviluppare la costruzione socialista di una nuova società. L’alta autorità del Partito bolscevico è stata confermata nell’industrializzazione e della collettivizzazione dell’agricoltura, nella lotta contro la peste fascista, generata dal capitalismo.

– Insistiamo sulla necessità di seguire le indicazioni di Lenin sulla questione della guerra imperialista, senza le quali è difficile comprendere le cause, le forze motrici e l’essenza del conflitto militare in corso in molte regioni del nostro mondo e in primo luogo sul territorio dell’Ucraina. In decine delle sue opere, come Sulla parola d’ordine degli Stati Uniti d’Europa, Il socialismo e la guerra, La questione della pace, Sotto la bandiera altrui e altre dedicate all’analisi della guerra nell’era dell’imperialismo, V. I. Lenin afferma: “La lotta per i mercati e per la rapina dei paesi stranieri, la volontà di stroncare il movimento rivoluzionario del proletariato e della democrazia all’interno dei singoli paesi, il tentativo d’ingannare, di dividere e di decimare i proletari di tutti i paesi aizzando gli schiavi salariati di una nazione contro quelli dell’altra a vantaggio della borghesia: questo è il solo contenuto reale e il solo reale significato della guerra”. (Lenin, Opere Complete, vol XXI) Oggi le indicazioni di Lenin sulla questione della guerra imperialista, che si basano sull’internazionalismo proletario, sono più che mai attuali.

– Mettiamo in guardia dal pericolo dei piani e della competizione imperialista nella regione del Medio Oriente e del Mar Rosso, così come dalla minaccia che la guerra imperialista scatenata nel 2022 sul territorio dell’Ucraina e condotta tra la borghesia ucraina, con l’appoggio di USA-NATO-UE, e la borghesia russa con il coinvolgimento della Cina, ecc. possa generalizzarsi e causare spargimenti di sangue in altri Paesi e, a causa delle armi nucleari, portare l’umanità a una catastrofe globale.

L’ACE lotta contro la guerra imperialista, per il disimpegno dei nostri Paesi dai piani e dalle organizzazioni imperialiste. La soluzione per i popoli non risiede nelle illusioni delle potenze borghesi secondo cui potrebbe esistere un’altra “migliore architettura di sicurezza”, o una NATO “senza piani militari e sistemi di armamento offensivo sui suoi territori”, o un’UE “a favore della pace”, o un “mondo multipolare pacifico”. La soluzione sta nel rafforzare la lotta di classe per il disimpegno dalle unioni imperialiste, contro la guerra imperialista e il ventre che la fa nascere, cioè il sistema capitalista.

Pubblichiamo questa Dichiarazione nel centenario della morte di V. I. Lenin, non solo per rendere omaggio al leader del proletariato mondiale e per onorarne la memoria, ma anche per invitare tutti i lavoratori, i partiti comunisti e operai in Europa e nel mondo, a seguire il percorso della loro prospettiva storica; ad approfondire la teoria rivoluzionaria, che è la guida dell’azione rivoluzionaria; a studiare il comunismo; studiare la multiforme esperienza della Terza Internazionale Comunista, il cui iniziatore fu Lenin, e rafforzarne la linea indipendente che non ha nulla a che vedere con tutti i piani borghesi e imperialisti, contro le tendenze nazionaliste e scioviniste della borghesia e il cosmopolitismo del capitale; lottare contro l’opportunismo e le illusioni parlamentari; contribuire alla formulazione di una strategia rivoluzionaria contemporanea – cioè conformarsi allo spirito del leninismo, difendere e continuare l’opera di V. I. Lenin nel XXI secolo.

Roberto Vallepiano

eopdnrtosS72c33ui597lt2lc8g3ilp1faatt6i6i08692e2li7l0c iir8l  · LE TRE FRECCE DELL’ANTICOMUNISMO.
IL SIMBOLO DEGLI ASSASSINI DI ROSA LUXEMBURG.

Da alcuni anni a questa parte il simbolo delle Drei Pfeile, le Tre Frecce, è stato abilmente sdoganato all’interno dell’ambito movimentista e nel variegato e contraddittorio movimento “Antifà” come un simbolo comunista e antagonista di lotta dura al nazifascismo e al razzismo.

Questa simbologia è stata ufficialmente riesumata nei primi anni 2000 negli USA ed è stata utilizzata per prima dai gruppi politici nordamericani del giro dell’ARA (Anti Racist Front).
Da allora il simbolo dell’Eiserne Front – il “Fronte di Ferro” – ha conosciuto una seconda giovinezza, una “moda” che dagli USA è arrivata sull’onda dell’entusiasmo prima in Germania e poi nel resto d’Europa.
Prima tra gli ambienti skinhead della RASH e poi nei diversi ambiti della sinistra di classe è stato tutto un moltiplicarsi di bandiere e t-shirt, di striscioni e di scritte, che molti compagni ignari del suo reale significato ostentano in assoluta buona fede.

Si tratta di sfondoni storici e di revisionismo di bassa lega.

In realtà il logo delle tre frecce fu creato, su richiesta della SPD Tedesca, da Sergei Chakhotin, dirigente del Partito Menscevico Russo, fuggito in Germania dopo la Rivoluzione d’Ottobre, fervente anticomunista noto per la frase: “L’obiettivo della mia vita è la distruzione dell’Unione Sovietica!”.

Il Fronte di Ferro doveva colpire duro “i nemici della democrazia”, in primo luogo “gli Spartachisti, i Comunisti e tutte le loro organizzazioni”. Secondariamente i “monarchici e il Partito NazionalSocialista di Adolf Hitler”.

Secondo Chakhotin le tre frecce mostravano la volontà di schiacciare le forze che minacciavano la Repubblica di Weimar e, come si vede in un manifesto dell’epoca, una freccia doveva colpire la falce e martello, una freccia la svastica (definita spregiativamente dai socialdemocratici tedeschi “simbolo omosessuale indiano”) e una freccia la corona monarchica.

L’obiettivo dichiarato dell’organizzazione delle Tre Frecce era di unire in un unico fronte militare e propagandistico – antinazista e anticomunista – tutti i socialdemocratici, centristi e liberali per colpire con violenza i militanti delle correnti rivoluzionarie di sinistra, nonché quelle reazionarie dell’estrema destra.

Ricordatevene. Perché che ogni volta che indossate questo simbolo, esponete il vessillo dell’anticomunismo e dei mandanti degli assassini di Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg.

www.resistenze.org – cultura e memoria resistenti – storia – 14-11-23 – n. 881

Eventi storici passati e presenti: Bollettino di Berlino n. 217
Victor Grossman | mronline.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

13/11/2023

Gli Stati Uniti hanno celebrato per l’ennesima volta [l’11 novembre] la Giornata dei Veterani. Ora anche tutti i principali partiti tedeschi vorrebbero celebrare un’analoga Veteranentag: per onorare tutti quei patrioti del passato che hanno indossato l’uniforme, volontariamente o meno, e certamente per ispirare molti giovani uomini e donne, riluttanti a indossare gli stivali dell’esercito e portare armi a tracolla.

Non molti ricorderanno che precedentemente la “Giornata dell’Armistizio” segnava la fine della Prima Guerra Mondiale. Molti meno sanno che l’abdicazione del Kaiser e la resa totale furono sostanzialmente raggiunte il 9 novembre, perché i marinai, i soldati e gli operai dei cantieri navali tedeschi, guidati da un macchinista comunista, si unirono in un ammutinamento e in uno sciopero. La loro rivolta sembrava addirittura volgere verso una rivoluzione socialista in Germania. Ma i leader del Partito Socialdemocratico, che nel 1914 avevano seppellito tutti i principi votando i crediti di guerra per il massacrante conflitto del Kaiser (il cui obiettivo era di “salvare patriotticamente la Germania civilizzata dai tirannici russi”), deviarono o tradirono tutte le speranze di un grande cambiamento nel 1918-1921 con il loro accordo segreto con i vertici dell’esercito, che avevano condotto e perso la guerra, e con i milionari ingrassati dai profitti e ora spaventati.

Questa liquidazione, realizzata con un esercito mercenario di assassini armati, aprì presto la porta a Hitler, con gli stessi milionari, la stessa nobiltà e molti degli stessi delinquenti, ora con la svastica. Un nuovo minaccioso picco si toccò nel 1938 – di nuovo il 9 novembre – con la cosiddetta “Notte dei cristalli”, sanguinosa e infuocata. Questa volta il metodo consisteva nell’ingannare i lavoratori inducendoli a odiare gli ebrei anziché i loro veri nemici. Ma ancora una volta [per le forze al potere] il principale avversario e obiettivo era la Russia, o l’URSS “ebraico-bolscevica”. Tragicamente, il risultato si rivelò molto peggiore della guerra precedente, per gli ebrei, il popolo sovietico e i tedeschi.

Cinquantuno anni dopo, il 9 novembre fu di nuovo un giorno storico, ma felice: il Muro di Berlino fu aperto e salutato come una grande vittoria della democrazia! Ma fu davvero così? A guadagnarci di più furono le solite stesse banche e società milionarie (ora miliardarie), molte delle quali con gli stessi nomi del 1914 o del 1938, e soprattutto i produttori di armamenti. La porta ad est, fino ad allora sbarrata, era finalmente aperta e da allora ne hanno fatto grande uso, diventando di nuovo il centro muscolare dell’Europa!

Quest’anno, con un giorno di ritardo, il 10 novembre, è stato il Ministro della Difesa Boris Pistorius, uno dei più desiderosi “guerrieri della libertà” (e ancora una volta socialdemocratico), a chiedere: “Abbiamo bisogno di un cambio di mentalità. Questo sta già avvenendo tra le truppe. Lo noto ogni volta che parliamo della nostra brigata ora di stanza in Lituania. … Ma ne abbiamo bisogno nell’intera società e sulla scena politica… Dobbiamo abituarci di nuovo al pensiero che il pericolo di una guerra è immanente, il che significa che dobbiamo diventare esperti di guerra, dobbiamo essere pronti alla difesa e dobbiamo costruire sia la nostra Bundeswehr [forze armate tedesche] che la nostra società per raggiungere questo obiettivo”.

Queste parole agghiaccianti – che si spingono verso una preparazione alla guerra, in assenza di una vera e propria minaccia – sono troppo spaventose per alcuni. Gli echi bellicosi e militaristi del 1914, del 1938 e degli anni ’80 sono troppo evidenti e il Cancelliere Olaf Scholz ne approva gli obiettivi ma non le parole. Ancora una volta i toni minacciosi puntavano verso est, sostenuti da fatti più pesanti delle parole: carri armati, battaglioni, aerei da guerra in Lituania, navi da guerra nel Baltico e nuove somme gigantesche per la Bundeswehr e per l’Ucraina, con lo stesso nemico e gli stessi obiettivi.

Ci sono delle differenze, naturalmente. Nel 1914 l’Impero tedesco era allineato con l’Impero austriaco, contro la Gran Bretagna, la Francia e gli Stati Uniti. Nel 1938 (dopo la tragica sconfitta della Spagna, grazie al tradimento britannico, francese e americano), la Germania hitleriana fu incoraggiata a spostarsi nuovamente verso est, verso Austria e Cecoslovacchia. Lo fece, ma mentre riusciva ad allineare quasi tutta l’Europa a questo obiettivo, spesso attraverso la conquista militare, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti si unirono infine all’URSS per sconfiggerla.

Ora la Germania, pur avendo convogliato gran parte dell’Europa sotto il suo controllo, resta un partner minore rispetto gli Stati Uniti nell’espansione verso est in termini di influenza e forza militare. Mentre alcuni in Germania sognano di superare questo status di partner minore, la parola d’ordine è: “Prima le cose importanti!”, così da Washington a Varsavia e a gran voce a Berlino si sente dire: “la Russia deve essere sconfitta”.

Nonostante le bandiere e i discorsi, la spinta di fondo non è l’invasione russa dell’Ucraina, né la sovranità o la democrazia. Questi conflitti hanno sempre trovato buoni slogan per l’invio di aerei, carri armati o truppe: dal Vietnam e dalla Libia a Grenada e al Guatemala, dal Kosovo alla Baia dei Porci o al Mali e al Niger. Anche in questo caso, la posta in gioco è molto più alta della difesa di Zelensky e dei suoi oligarchi amanti di Bandera, antichi veterani dei battaglioni nazisti delle SS e dei combattenti di Azov. E pericoli ben maggiori!

L’unica speranza è nel movimento di milioni di persone che chiedano il cessate il fuoco in Ucraina, a Gaza e in Palestina! Il mondo ha bisogno di altri forti moniti ai Tories e ai laburisti in Gran Bretagna, ai burattini o agli azionisti di Northrup-Raytheon a Washington e al Pentagono, ai “difensori” di quasi tutti i partiti tedeschi contro le immaginarie minacce russe. E le mobilitazioni, reiterate e partecipate in tante città del mondo, non devono essere adombrate dai raduni “contro l’antisemitismo”, sempre corretti ma che oggi, dimenticando gli omicidi di massa a Gaza, sono per lo più manifestazioni di sostegno a Netanyahu sotto mentite spoglie. Più forte e più chiaro che mai dovremmo far sentire le richieste: “Basta armi nelle aree di conflitto”, “Cessate il fuoco”, “Sconfiggete gli amanti della guerra”! In Germania la prossima occasione sarà la manifestazione contro la guerra del 25 novembre a Berlino e in altre città della Germania. Nonostante tutte le differenze, bisogna riempire le strade e le piazze!


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www.resistenze.org – pensiero resistente – dibattito teorico – 10-11-23 – n. 881

G7 vs BRICS: la lotta fra potenze non è lotta di classe
Richard D. Wolff * | newsclick.in
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

17/10/2023

Economic Growth in G7 Versus BRICS: A Reality Check

Il nuovo polo socialista emergente sfida sia gli Stati Uniti che la Cina, il G7 e i BRICS, nonostante i loro diversi equilibri tra imprese statali e private.

La lotta fra le classi interagisce con la lotta fra le potenze, ma è diversa da questa. Gli antichi conflitti tra le città-stato di Atene e Sparta erano lotte fra potenze, mentre all’interno di ciascuna di esse, schiavi e schiavisti erano impegnati in lotte di classe. La Gran Bretagna e la Francia erano monarchie assolute nel tardo feudalesimo europeo, pienamente impegnate in lotte fra potenze. Allo stesso tempo, le lotte di classe tra signori e servi della gleba agitavano internamente entrambe le “grandi” potenze.

Oggi, dopo che la schiavitù e il feudalesimo sono in gran parte finiti e il capitalismo prevale a livello globale, esistono grandi lotte fra potenze, tra G7 e BRICS e tra le nazioni che ne fanno parte, così come tra altre nazioni. Allo stesso tempo, esistono lotte di classe tra padroni e lavoratori in tutte le nazioni. Le lotte fra potenze e le lotte di classe si condizionano e modellano a vicenda. Entrambe sono state e rimangono aspetti centrali della storia, così come le abitudini ideologiche di confonderle e combinarle.

Il Kaiser Guglielmo II, sovrano della Germania, disse nel 1914, all’inizio della Prima guerra mondiale: “Non riconosco più i partiti [politici], riconosco solo i tedeschi”. Utilizzò il nazionalismo per unificare una Germania divisa in classi e aiutarla a vincere la guerra. Il Kaiser era rimasto scosso da molto più che le lotte sempre più gravi tra potenze mondiali per le colonie, il commercio mondiale e gli investimenti esteri. Era rimasto anche stupito dall’ascesa del Partito socialista tedesco, ispirato da Marx, nei decenni precedenti la guerra.

La classe capitalista padronale tedesca era similmente scossa e stordita. Per un paese sempre più profondamente diviso tra lavoro e capitale, il nazionalismo tedesco era la carta strategica della classe padronale per contrastare il socialismo e vincere la guerra. La chiave di questa strategia era far sì che le persone pensassero (e si identificassero) in termini di lotte nazionali e, in ultima analisi, militari, e non di lotte di classe.

La strategia della Germania fallì. Perse la Prima guerra mondiale, la monarchia cadde e il Partito socialista divenne il governo tedesco del dopoguerra. Il socialismo uscì dalla guerra molto più forte in Germania di quanto non fosse mai stato. Lo stesso valeva per le altre nazioni belligeranti della Prima guerra mondiale. Più o meno tutte avevano utilizzato il nazionalismo per mobilitare il loro sforzo bellico e per minare ed emarginare la coscienza di classe.

Per i vincitori della guerra, il nazionalismo può essere servito a raggiungere la vittoria. Tuttavia, non ha sconfitto o bandito il socialismo. Al contrario, il socialismo conquistò il suo primo governo (Russia) e si divise in ali socialiste e comuniste che attirarono l’attenzione e l’impegno di massa. Entrambe queste ali si diffusero globalmente e rapidamente negli anni ’20 e ancora di più negli anni ’30, quando il capitalismo impose il suo peggior crollo alla maggior parte delle nazioni del mondo.

Ora, un secolo dopo, le lotte fra potenze si intensificano e si acuiscono in tutto il capitalismo globale. La potenza USA, egemone durante la Guerra fredda, è ora in declino. La precedente decadenza dell’Europa, punteggiata dalla perdita delle sue colonie e da due guerre mondiali profondamente distruttive, continua. Sia l’Europa che gli Stati Uniti si trovano ad affrontare la velocità sbalorditiva e senza precedenti della crescita economica della Cina e la sua concomitante ascesa allo status di potenza globale. La rete di alleanze cinesi, in particolare i BRICS, si confronta già con gli Stati Uniti e le loro alleanze, in particolare il G7. L’ascesa della Cina e dei BRICS accresce la lotta fra potenze con Stati Uniti e G7. Questa ascesa sta anche riallineando le relazioni di potere tra il Nord e il Sud del mondo e, in un modo o nell’altro, tra tutte le nazioni e all’interno delle organizzazioni internazionali.

Anche le lotte di classe sono continuate in tutte le società, evolvendosi in forme e ambiti diversi. Soprattutto, i socialisti si concentrano sempre meno sulla lotta tra proprietà privata e libero mercato, in quanto capitalismo, e proprietà e pianificazione statali, in quanto socialismo. Molti socialisti hanno reagito alle esperienze del XX secolo di potere statale in URSS e nella Repubblica Popolare Cinese, spostando la loro attenzione.

Il potere statale e la pianificazione, pur non essendo respinti come obiettivi socialisti, erano sempre più visti come insufficienti da soli. Era necessario qualcosa di più o di diverso per ottenere il sistema post-capitalistico che i socialisti avrebbero potuto e voluto abbracciare. I socialisti hanno riorientato le loro priorità sulla trasformazione dei luoghi di lavoro. Basandosi su una critica della gerarchia capitalista all’interno delle fabbriche, degli uffici e dei magazzini – e dei suoi effetti sociali – i socialisti sottolineano sempre di più le proposte di riorganizzazione democratica della produzione. Ogni lavoratore di un’impresa avrà uguale diritto di voto per decidere cosa, dove e come produrre, nonché come smaltire il prodotto (o i ricavi netti se il prodotto è commercializzato). La democratizzazione di tutti i luoghi di lavoro (famiglie e imprese) diventa un punto centrale di cosa il socialismo ha finito per significare.

Questo tipo di socialismo ha superato, ma anche sfidato i macro-socialismi incentrati sullo Stato del XIX e XX secolo. Pertanto, laddove le imprese a proprietà e gestione statali continuano a organizzare la produzione attorno alla dicotomia padrone-dipendente, incitanola critica dei socialisti proprio come fanno per le imprese a proprietà e gestione privata.

Lo stesso vale per i socialismi democratici o le socialdemocrazie, dove le imprese rimangono di proprietà e gestione privata, ma sono soggette, insieme ai mercati, a una forte supervisione, tassazione e controllo da parte dello Stato. Le forme private e statali delle imprese, per quanto importanti siano le loro differenze per altri motivi, spesso non differiscono in termini di classe. Entrambe mostrano tipicamente l’organizzazione interna della produzione tra padrone e dipendente. Se superare il capitalismo per passare al socialismo significa una transizione verso organizzazioni del luogo di lavoro di livello micro, che siano democratiche, allora tali transizioni si applicano sia alle imprese pubbliche che a quelle private.

Questo nuovo orientamento socialista emergente sfida sia gli Stati Uniti che la Cina, il G7 e i BRICS, nonostante i diversi equilibri tra imprese statali e private. Inoltre, i rapporti di potere in rapida (quindi drammatica) evoluzione tra loro hanno un impatto sulle lotte di classe di ogni nazione. Ad esempio, le sanzioni del G7 contro la Russia per la guerra in Ucraina e il loro impatto inflazionistico sull’Europa e sugli Stati Uniti hanno acuito le lotte dei datori di lavoro contro i lavoratori, come conseguenza di queste politiche inflazionistiche e anti-inflazionistiche in molte nazioni del mondo.

Una di queste politiche – i forti aumenti dei tassi di interesse da parte della Federal Reserve statunitense – sta comprimendo le nazioni con grandi debiti esteri denominati in dollari. Il padronato e i lavoratori di queste nazioni reagiscono in modi che spesso intensificano le loro lotte di classe.

Un problema importante del passato e del presente è stata la tendenza diffusa a confondere o a combinare le lotte di potenze e di classe, oppure a vedere l’una e non l’altra. In parte, questi problemi sono derivati dagli sforzi nazionalisti, come quello del Kaiser Guglielmo II, di reprimere la coscienza di classe. Altri problemi sono emersi quando le culture hanno rifiutato o respinto la coscienza di classe, forse a causa della dipendenza dei mass media dai proprietari capitalisti e dagli inserzionisti.

Spesso sia i socialisti che gli antisocialisti hanno contribuito alla confusione e alla cecità. Ciò è accaduto quando la Guerra fredda (1945-1990) e la sua eredità duratura hanno effettivamente convinto molti da entrambe le parti a equiparare il socialismo, il comunismo e l’URSS in quanto polo contro l’altro polo, costituito dal capitalismo, la democrazia, gli Stati Uniti e l'”Occidente”.

Nell’attuale ordine economico internazionale emergente, i nazionalismi contendenti sono di nuovo forti. Le lotte fra potenze tornano ad occupare i titoli dei giornali: Stati Uniti contro Russia e Cina, G7 contro BRICS e Sud globale contro Nord globale. Le categorie di potenza non solo sostituiscono le categorie di classe nei dibattiti analitici sulle principali questioni mondiali, ma questo spostamento invade anche il dibattito sugli affari interni delle nazioni. Le lotte fra potenze vengono abitualmente scambiate per lotte di classe. Oppure la classe e le lotte di classe scompaiono del tutto dal discorso.

L’ascesa e le lotte dei BRICS contro il G7 non devono essere confuse con le lotte di classe. Nessun governo tra questi è impegnato a sostituire il capitalismo con il socialismo, nel senso di una transizione oltre la modalità di organizzazione interna del posto di lavoro tra datore di lavoro e dipendente. Né alcun governo si è impegnato a sostituire il capitalismo nel senso più antico di passare sistematicamente dalla proprietà privata all’impresa pubblica e dai mercati alla pianificazione. Tuttavia, al loro interno, ci sono gruppi e movimenti che si impegnano a sostituire il capitalismo con il socialismo, secondo una delle sue definizioni.

Karl Marx e altri hanno visto il conflitto tra l’Impero britannico e la sua colonia nordamericana, culminato nella Guerra rivoluzionaria e nella Guerra del 1812 [Guerra anglo-americana], come una lotta fra potenze e non di classe. Queste guerre non contrapponevano schiavi a schiavisti, né servi della gleba a signori, né subalterni a padroni: erano lotte fra potenze. Tuttavia, all’interno di esse, si verificarono momenti di lotta di classe. Le guerre napoleoniche furono lotte fra potenze, ma anche in esse si verificarono spesso lotte di servi contro signori. Le guerre napoleoniche indebolirono le potenze feudali e stimolarono le classi capitaliste a spingere per la fine del feudalesimo in tutta Europa. Negli ultimi due secoli di guerre contro il colonialismo e il neocolonialismo – lotte fra potenze – si sono intrecciate molte lotte di classe.

Le lotte fra potenze tra G7 e BRICS interagiranno con le lotte di classe in corso all’interno di entrambi i blocchi. I leader, gli ideologi e i mass media di entrambi i blocchi si concentrano principalmente su queste lotte fra potenze. I sostenitori del cambiamento di classe devono differenziare chiaramente tra lotte fra potenze e lotte di classe, se intendono centrare la coscienza e l’attivismo di massa su queste ultime. Così, il blocco dei BRICS sta sicuramente sfidando l’egemonia dei G7 e degli Stati Uniti nell’economia mondiale. La lotta fra potenze tra blocchi concorrenti non è tuttavia un movimento socialista che sfida il capitalismo. Né la Cina o il Sud globale stanno lanciando una tale sfida.

Le lotte fra potenze della Cina, dei BRICS e del Sud globale contro gli Stati Uniti, il G7 e il Nord globale possono provocare nuove lotte di classe e influenzare quelle già in corso. Il modo in cui lo faranno dipenderà in parte dalla maniera in cui comprenderemo e affronteremo la differenza tra lotta fra potenze e lotta di classe.

°) Richard D. Wolff è professore emerito di economia presso l’Università del Massachusetts, Amherst, e professore ospite del Graduate Program in International Affairs della New School University, a New York.

FONTE: Independent Media Institute

I documenti declassificati dalla Russia rivelano il desiderio di Londra di perpetuare l’Impero britannico. Il Servizio segreto straniero della Russia (SVR) ha recentemente declassificato i materiali segreti raccolti e resi pubblici attraverso un libro intitolato “Servizio segreto straniero della Federazione Russa, 100 anni”, in cui presenta documenti, testimonianze e una serie di importanti materiali segreti , in gran parte appartenenti ai periodi della Seconda Guerra Mondiale e della Guerra Fredda. La maggior parte dei documenti esposti nel libro della SVR russa rimasero a lungo sotto il sigillo di classificazione da parte delle autorità di intelligence sovietiche, e danno la misura di dove si spostarono le diverse espressioni nazionali durante gli anni della Seconda Grande Guerra Mondiale. guerra e dopo. Ad esempio, nel suo testo, il libro mette in risalto un telegramma criptato, inviato a Mosca, il 5 giugno 1945, da “Bob”, un agente sovietico che operava presso il quartier generale dell’intelligence britannica a Londra. Il messaggio afferma che “nel territorio della Germania, “i servizi segreti americani sequestrarono i file personali di Hitler”, ma poi, indica Bob nella lettera, quei “file personali di Hitler caddero nelle mani degli inglesi”. «Le autorità britanniche intendono mostrarli alle autorità americane, ma non a quelle sovietiche. Gli inglesi temono che se mostrassero i documenti personali di Hitler alle autorità sovietiche, queste ultime verrebbero a conoscenza del loro contatto con Hitler. Sperano anche di trovare negli archivi di Hitler materiale sul Trattato di non aggressione sovietico-tedesco”, ha detto nel suo messaggio l’agente russo Bob. Il libro preparato in omaggio al centenario del Servizio segreto straniero russo (SVR) mette in luce anche un’altra serie di conversazioni che il governo britannico ha avuto dietro le quinte con le autorità naziste in Germania. Un altro messaggio, questa volta inviato il 27 maggio 1942, dall’agente russo in Svezia, Boris Rybkin, da Stoccolma a Mosca, indicava alle autorità sovietiche le condizioni che il vicecancelliere del Terzo Reich tedesco aveva posto al Regno Unito , Hermann Göring, al fine di avviare negoziati di pace tra le due nazioni. Dal testo della lettera di Rybkin risulta che “Göring avrebbe stabilito le seguenti condizioni: la Germania concluda con l’Inghilterra e gli Stati Uniti un’alleanza sacra contro il pericolo giallo. La Francia come grande potenza cesserà di esistere. L’Inghilterra conserva tutti i suoi possedimenti coloniali, la Germania acquisisce il controllo dell’Europa con la parte europea dell’URSS. L’impero britannico sarà garantito dalla Germania e dagli Stati Uniti. Nel suo messaggio, l’agente russo Boris Rybkin utilizza un’espressione largamente usata ai suoi tempi dall’Occidente per riferirsi in modo sprezzante ai paesi dell’Estremo Oriente, quando consideravano il “pericolo giallo” una minaccia per i loro interessi nazionali.

In primo piano con gli occhiali Ze’ev Jabotinsky, fondatore del più importante raggruppamento sionista: ammiratore di Mussolini pensava all’Italia fascista come modello per Israele

Di solito si pensa a Israele come allo stato ebraico, ma esso non rappresenta affatto l’ebraismo nel suo complesso, bensì una sua particolare sottospecie chiamata sionismo e portatore di passioni ultra nazionaliste nazionaliste e  fantasie irredentiste che  aveva trovato nei fascismi europei una sponda a cui appigliarsi. Dal momento che il Likud, il partito di  Netanyahu, deriva da quella matrice di sionismo militante e militare non c’è nessuna meraviglia che i discendenti  abbiano finito con l’assumere comportamenti inaccettabili,  fatto carne di porco dei palestinesi riducendoli  in una grande campo di concentramento come la striscia di Gaza dove nemmeno il lavoro rende liberi.

Tutto questo naturalmente si cerca di tenerlo nascosto e non viene mai fuori tanto che ormai nessuno, a meno che che non abbia una certa dimestichezza con la storia del ‘900 se ne ricorda più. E poi da quando criticare il sionismo equivale all’antisemitismo è calato un silenzio tombale perché tutti hanno paura di violare questo ridicolo tabù che per la sua assoluta stupidità stupidità si adatta benissimo ai nostri tempi.  Tuttavia la realtà si può oscurare, ma non cancellare  e così sappiamo che i gruppi sionisti più importanti che operarono nei due decenni prima della guerra e che poi saranno al centro della creazione di Israele ,Irgun, Betar e Lehi. erano d ispirazione fascista.  Il Lehi, per esempio che era essenzialmente  un’organizzazione paramilitare tentò di allearsi con il Terzo Reich nel 1941, quando quest’ultimo sembrava sulla strada della vittoria. Lo scopo era quella di fondare  “una nuova repubblica ebraica totalitaria” pensando  che la Germania nazista fosse un nemico minore degli ebrei rispetto alla Gran Bretagna, Lehi tentò due volte di formare un’alleanza con i nazisti, proponendo uno stato ebraico legata al Reich tedesco da un’alleanza. Betar e Irgun invece ricevettero l’aperto sostengo fi Mussolini fatto per il quale le famose leggi razziali piombarono del tutto inaspettate oltre che  vergognose, come una perdita di autonomia e in un certo senso di sovranità rispetto a Hitler fondamentalmente perché al dittatore italiano l’alleanza con i sionisti serviva a indebolire  l’Inghilterra nel Mediterraneo.

Durante una conversazione privata con Nahum Goldman, fondatore del World Jewish Congress, nel novembre 1934, Mussolini espresse ammirazione per Ze’ev Jabotinsky, fondatore di Betar e Irgun,  dicendo a Goldman: “Perché il sionismo abbia successo, è necessario avere uno Stato ebraico con una bandiera ebraica e una lingua ebraica. La persona che lo capisce è il tuo fascista, Jabotinsky”.  Ma l’ammirazione reciproca, si allargava anche ad altri  leader sionisti come Itamar Ben-Avi  che lodavano le azioni di Mussolini . Jabotinsky addirittura vedeva nell’Italia fascista una sorta di  patria spirituale. “Tutte le mie opinioni sul nazionalismo, sullo stato e sulla società furono sviluppate durante quegli anni sotto l’influenza italiana”, scrisse Jabotinsky nella sua autobiografia, riferendosi agli anni della sua formazione ideologica in Italia.  Addirittura nel 1934, questo personaggio e il suo movimento giovanile Betar fondarono una scuola navale a nord di Roma dove si addestrarono molti dei futuri comandanti della marina israeliana. L’Idea Sionistica, la rivista in lingua italiana di Betar, descrisse le cerimonie di inaugurazione di  questa scuola : “Un triplo canto ordinato dal comandante della squadra: ‘Viva l’Italia, Viva Il Re! Viva Il Duce!’, risuonò, seguita dalla benedizione che il rabbino Aldo Lattes invocò in italiano e in ebraico per Dio, per il Re e per Il Duce… ‘Giovinezza’  fu cantato con molto entusiasmo dai Betarim . Non stupisce certo che dopo la guerra i cadetti di questa scuola e buona parte della nascente marina israeliana venissero formati dagli uomini della X Mas

La finisco qui con queste notazioni che prenderebbero pagine intere, ma la sostanza è abbastanza chiara: lo stato israeliano e i suoi comportamenti sono stati in radice condizionati da queste ispirazioni nazionaliste e fasciste che non solo perdurano nel tempo, ma sembrano rafforzarsi. In definitiva si può dare ragione al giornalista palestinese-americano Ramzy Baroud quando dice  “Israele è in realtà radicato nel fascismo, dà l’illusione di rappresentare il popolo ebraico quando in realtà è il sionismo a definire le azioni di Israele”. Ed è straordinario come al contrario della stupida leggina da stracciaculi che l’Italia da nulla ha votato,  in realtà  è proprio: è  il sionismo ad avere tratti antisemiti.

Introduzione
Quest’anno ricorre il 70° anniversario degli eventi del 17 giugno 1953 nella Repubblica
Democratica Tedesca (RDT, comunemente chiamata “Germania Est”). Ancora oggi,
l’anniversario attira una notevole attenzione da parte dei media tedeschi. Gli eventi del giugno
1953 sono ampiamente descritti come una “rivolta popolare” (Volksaufstand) diretta contro il
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repressivo regime socialista, ma brutalmente repressa dai carri armati sovietici. Questa
caratterizzazione corrisponde grosso modo a quella che i media occidentali diffondevano
all’epoca dei fatti. Nella stessa RDT, i funzionari statali descrissero gli eventi come un
“tentativo di colpo di stato fascista”. Oggi, in pubblico e nei circoli accademici, c’è poco o
nessuno spazio per discutere gli eventi del 17 giugno e il loro contesto storico al di fuori della
narrazione dominante di una “rivolta popolare”. Con questo dossier di estratti di articoli
tradotti, vogliamo far luce su aspetti significativi degli eventi e renderli accessibili a un
pubblico internazionale.
Cosa accadde esattamente nel 1953? Il 16 giugno si verificarono proteste sporadiche e
spontanee nella RDT, in particolare in uno dei più grandi cantieri del Paese, nell’allora
“Stalinallee” di Berlino (oggi Karl Marx Allee). Il 17 giugno si svolsero scioperi e
manifestazioni in 373 diverse località del Paese. Quel giorno parteciparono circa 600.000
persone, con poco meno del 5% della classe operaia della RDT che prese parte alle proteste
[1]. In alcune di queste località, le manifestazioni divennero violente: ci furono incendi,
attacchi alla polizia popolare (Volkspolizei) e persino linciaggi. A mezzogiorno del 17
giugno, la Commissione di Controllo sovietica, in accordo con il governo della RDT e in
conformità con i regolamenti di occupazione (negoziati dopo la Seconda Guerra Mondiale),
dichiarò lo stato di emergenza. In seguito le forze sovietiche fecero sentire la loro presenza in
tutto il Paese, in particolare dispiegando carri armati. Le proteste si conclusero rapidamente.
Il 25 giugno 1953, il governo della RDT parlò di 19 dimostranti morti e 126 feriti [2]. Uno
studio del 2004 della Bundeszentrale Für Politische Bildung (Agenzia federale per
l’educazione civica) ha contato 55 vittime durante gli eventi di giugno [3